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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Non solo olio di palma: anche cacao e carne stanno uccidendo le foreste

L'allarme dei ricercatori: nel 2018, milioni di ettari del polmone verde tropicale sono stati distrutti. Sotto accusa coltivazioni e allevamenti intensivi

Le coltivazioni e gli allevamenti intensivi continuano a distruggere milioni di ettari di foreste in tutto il mondo. E' quanto hanno ricostruito diversi ricercatori internazionali sulla base delle rilevazioni satellitari condotte nel 2018. E tra i principali imputati figura l'industria agroalimentare, in particolare i settori legati a carne di manzo, cioccolato e olio di palma tra le cause principali.

"Le foreste immagazzinano enormi quantità di carbonio e abbondano di fauna selvatica - scrive il Guardian - Questo rende la loro protezione fondamentale per fermare il cambiamento climatico ed evitare una sesta estinzione di massa". Secondo i ricercatori, pur non raggiungendo i picchi del 2017, quando le condizioni di siccità hanno provocato incendi di grandi dimensioni, la deforestazione registrata nel 2018 è stata tra le peggiori degli ultimi 20 anni.

Succede in Brasile, dove la foresta pluviale incontaminata è stata presa d'assalto da taglialegna e allevatori di bestiame, con invasioni nelle terre indigene in cui vivono ancora diverse tribù. Le perdite sono state elevate anche nella Repubblica Democratica del Congo e in Indonesia. Il Ghana e la Costa d'Avorio hanno registrato la maggiore percentuale di aumenti nella distruzione della foresta pluviale, a causa soprattutto dell'estrazione dell'oro e dell'allevamento di cacao.

Secondo i dati della ricerca condotta dal network Global Forest Watch, nel 2018 più di 3,6 milioni di ettari di foresta pluviale incontaminata sono stati abbattuti. La maggior parte delle perdite, 1,3 milioni di ettari, hanno riguardato l'Amazzonia. "Stiamo anche assistendo ad alcune invasioni in terre indigene che sono state immuni alla deforestazione per anni", dice Mikaela Weisse del Global Forest Watch. Una situazione che sta peggiorando già nei primi mesi del 2019, ossia da quando in Brasile è stato eletto presidente Jair Bolsonaro.

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