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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Abitudini alimentari europee insostenibili, hanno un impatto sul resto del pianeta

Secondo uno studio l'Europa “esternalizza” i problemi non coltivando ma importando prodotti come soia e olio di palma causando disboscamenti in altri continenti. E nel frattempo spreca il 20% del suo cibo

Ecologisti in casa propria ma spostando gli effetti negativi sul fronte ambientale dall’Europa agli altri continenti, ad esempio non producendo ma importando i prodotti che hanno un maggiore impatto come i mangimi di soia e l’olio di palma. Gli esperti dell’Ipes-Food (Gruppo internazionale di esperti per i sistemi alimentari sostenibili) puntano il dito contro l’Ue, la quale “sta esternalizzando sempre di più l’impronta ambientale dei suoi sistemi alimentari”. Tale fenomeno, a detta del gruppo di esperti composto da scienziati ambientali, economisti, nutrizionisti, agronomi e sociologi, sarebbe reso “ancora più critico dal fatto che circa il 20% degli alimenti prodotti ogni anno nell’Unione europea finiscono buttati o sprecati”.

Il rapporto dell’Ipes, che chiede la nascita di una Politica comune alimentare per l’Ue finalizzata alla transizione sostenibile del nostro modo di produrre e consumare cibo, evidenzia le contraddizioni delle politiche esistenti. E, soprattutto, i danni che stanno facendo tali contraddizioni. Per fare un esempio, “l’Europa perde 970 milioni di tonnellate di suolo ogni anno”, si legge nel rapporto. “L’11% del suo territorio soffre di un’erosione da moderata a forte” e ad incidere negativamente sono soprattutto “i pesticidi e i fertilizzanti a base di azoto” i quali “hanno un impatto inedito sui vegetali e gli insetti”.

“La perdita di biodiversità - si legge - mette a repentaglio una lunga serie di servizi ambientali, quale per esempio l’impollinazione di molte colture alimentari il che a sua volta mette in pericolo i rendimenti futuri e viene a costare ben 3% del Pil mondiale ogni anno”, in barba a tutti i dibattiti sulla ripresa economica. “I sistemi agricoli e alimentari mondiali contribuiscono sino al 30% delle emissioni di gas effetto serra”, denunciano gli esperti. E qui si intravedono gli effetti di un sistema alimentare che danneggia le produzioni locali, a vantaggio di quelle che possono garantire un prezzo più concorrenziale. “Il 31% dei terreni che permettono di rispondere alla domanda europea di alimenti si trova fuori dall’Europa”, sottolinea il rapporto. 

“L’Ue importa quasi 22 milioni di tonnellate l’anno di mangimi a base di soia” spiegano gli esperti, ricordando che buona parte di questi arrivano anche dai Paesi sudamericani, “dove si sono riportati casi di deforestazione (responsabile del 20% delle emissioni di CO2 mondiali), espulsione forzata della popolazione locale, avvelenamento da pesticidi e violazioni dei diritti nelle zone di coltura intensiva destinata all’esportazione”.  Lo studio evidenzia che l’import europeo rappresenta, da solo, “quasi un quarto del commercio mondiale di soia, manzo, cuoio e olio di palma provenienti dal disboscamento illegale nei tropici”. 

Insomma, un sistema di consumo che non vuole rinunciare a certe risorse alimentari il cui sfruttamento intensivo è giudicato insostenibile in Europa, ma tollerabile se avviene altrove. È il caso della domanda europea di pesce, soddisfatta per meno della metà dalla produzione interna. “Ciò significa - continua il rapporto - che l’Europa ha anche un impatto molto importante sulle risorse marine mondiali”.   “I sistemi agricoli e alimentari europei - specificano gli esperti - necessitano di un cambio di rotta di 360 gradi perché si trovano oggi dinanzi a sfide gravi, sistemiche e interconnesse”. 

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