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Venerdì, 29 Marzo 2024
Filiera

“Born in Italy”, l’idea per evitare le truffe sul latte

Al posto dell’etichetta di provenienza ‘made in’, il sindacato dei veterinari chiede di specificare il luogo di nascita degli animali munti per fare il formaggio italiano. La richiesta arriva dopo la puntata di Report che denuncia l’arrivo di bestiame dall’estero

“Per difendere le produzioni alimentari italiane senza ingenerare confusione, è forse arrivato il momento di affrontare il tema della differenza tra ‘made in Italy’ e ‘born in Italy’”. A chiedere di specificare il luogo di nascita degli animali da latte sulle etichette dei formaggi è il sindacato dei veterinari Sivemp. La proposta arriva in seguito all'inchiesta di Report sul latte che arriva dall’estero in Italia per la preparazione dei formaggi rigorosamente made in Italy. 

Latte straniero nei formaggi italiani

La video-inchiesta “La goccia di latte” di Rosamaria Aquino ha messo a nudo l’intera filiera del latte straniero che arriva nel Belpaese per la produzione casearia di latticini che spesso precisano in etichetta che la provenienza regionale della materia prima. I veterinari denunciano che tra ‘made in’ e ‘born in’ ci sia un’enorme differenza, che evidentemente passa inosservata tanto ai consumatori quanto alle autorità competenti. 

Il valore aggiunto del 'born in'

“Nel primo caso - spiegano i veterinari, riferendosi al semplice 'made in' - le materie prime di origini diverse (controllate e salubri) entrano nella filiera della trasformazione e ci offrono prodotti di alta qualità che possono esser legittimamente classificati come made in Italy”. Specificare il luogo di nascita dei capi darebbe invece un valore aggiunto al prodotto.

La filiera del formaggio come quella della moda

Il fenomeno del reperimento del latte all’estero, secondo il sindacato, “ha qualche analogia con ciò che è avvenuto nel settore tessile a seguito della delocalizzazione avvenuta negli anni 80/90”. “Molte industrie manifatturiere italiane del comparto - sostengono i veterinari - oltre a cercare le materie sui mercati internazionali dove si potesse ottenere il miglior equilibrio prezzo/qualità, hanno anche cominciato a predisporre i loro capi lavorati in Paesi con manodopera a basso costo, chiudendo le fabbriche italiane ed esportando oltre frontiera i macchinari per lasciare a più elementari laboratori italiani il solo compito della selezione e del perfezionamento finale, ma consentendo così di apporre sui capi di moda le etichette made in Italy”. 

"Sempre più probabile" l'arrivo delle materie prime dall'estero

“Per le filiere alimentari sarà sempre più probabile che le materie prime arrivino da oltre confine (Ue o extra-Ue), anche perché la nostra agricoltura e zootecnia sono poco competitive rispetto alla sfida sui prezzi - aggiunge Aldo Grasselli, Segretario Nazionale del Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica - mentre hanno le carte in regola per eccellere nella sfida della qualità e della tesaurizzazione del valore simbolico della georeferenziazione sociologica e culturale”. 

“I disciplinari che identificano i prodotti alimentari possono essere la chance del momento per le nostre filiere ‘fragili’”, conclude Grasselli, che propone l'esclusione “di qualunque ingrediente o componente di lavorazione che non sia legittimata a definirsi italiana o tradizionale”. 

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