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Giovedì, 25 Aprile 2024
Ambiente&Clima

“Facile aggirare il piano Ue sulla deforestazione”. La denuncia degli attivisti indonesiani

Aziende capaci di evitare limiti grazie a esportazioni e scarsi controlli dei governi locali. Banche europee finanziano ancora l'olio di palma, a rischio ambiente e vite degli indigeni

La nuova proposta dell'Unione europea per proteggere le foreste in tutto il mondo sarebbe irrealistica e facile da aggirare. Non hanno dubbi gli attivisti dell'Indonesia, il Paese col più alto tasso di deforestazione, che sta distruggendo ambiente e benessere delle popolazioni indigene. La Commissione ha adottato a novembre una proposta di regolamento che impone obblighi specifici alle aziende che importano prodotti in zone a rischio deforestazione. Il focus si concentra su caffè, cacao, olio di palma, manzo e soia. La normativa impone alle aziende che vogliono vendere nel mercato unico di presentare una dichiarazione di “due diligence” che indichi da dove arrivano i loro prodotti. Sono inoltre richiesti dati di geolocalizzazione per l'appezzamento di terreno di provenienza, così come dettagli di contatto per i venditori iniziali. Questi dati devono essere conservati per cinque anni.

Come possono imbrogliare le aziende

Nonostante queste precauzioni, gli ambientalisti presenti sul terreno denunciano la facilità con cui è possibile aggirare queste norme sulla tracciabilità. In primo luogo, inviando i prodotti per la lavorazione in altri Paesi, dove le aziende possono eludere le regole. In Indonesia, ad esempio, uno dei principali fattori della deforestazione è l'olio di palma. Gran parte delle esportazioni sono dirette in Cina e in India, mentre quelle che vanno direttamente verso l'Europa rappresentano solo una piccola frazione. Una volta giunti in questi Paesi, difficile verificare che i prodotti derivati non vengano poi esportati nell'Ue. Anche rintracciare i prodotti che restano in Indonesia per la lavorazione non risulta così semplice. Questo grazie alla collusione del governo, restio a pubblicare dati sulle piantagioni. Le stesse organizzazioni locali rivelano che è quasi impossibile verificare l'origine dei prodotti.

A testimoniare la scarsa efficacia delle leggi europee, ci sarebbe il fallimento del regolamento sul legname, che cerca di frenare il flusso di prodotti di legno tagliati illegalmente. In alcune delle regioni forestali dell'Indonesia, cruciali per l'ecosistema locale, le imprese sono riuscite ad aggirare facilmente i divieti. "Sul campo non c'è un gran cambiamento", ha dichiarato a Politico l'attivista di Greenpeace Syahrul Fitra, precisando:"Il disboscamento illegale avviene ancora e le aziende stanno imbrogliando il sistema".

Banche europee finanziano olio di palma

Gli ambientalisti puntano il dito anche sul sistema dei finanziamenti. Il flusso di denaro che dall'Europa alimenta cicli produttivi dannosi per l'ambiente è ancora attivo e massiccio. Solo pochi mesi fa, un'inchiesta dello European Data Journalism Network rivelava come banche, fondi pensione, assicurazioni europee stiano finanziando le piantagioni di olio di palma. Secondo l'indagine, negli ultimi sette anni investitori dell’Ue, del Regno Unito, della Svizzera, della Norvegia e di Andorra hanno massicciamente finanziato i produttori di olio di palma, estratto da piantagioni create su terreni dove la vegetazione è stata ripetutamente bruciata. Tra il 2015 e il 2019, l’area totale colpita dagli incendi equivale a 112.687 ettari. Un'area dieci volte più grande del centro di Parigi. Il mercato europeo importa dall’Indonesia, ingenti quantità di olio di palma, principalmente per raffinarlo in biodiesel o per utilizzarlo come ingrediente chiave nell’industria alimentare e nei prodotti chimici di uso quotidiano (come detergenti, shampoo e cosmetici). Mentre la Commissione assicura che sono già in vigore norme di controllo sulle istituzioni finanziarie ed i loro investimenti, la criminalizzazione degli attivisti prosegue, tra minacce, molestie e controlli polizieschi. "Abbiamo bisogno di rendere queste aziende responsabili di ciò che hanno fatto in altri Paesi", ha affermato l'attivista per il clima Yuyun Harmono, che lavora per Walhi, organizzazione partner locale di Friends of the Earth.

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