I dubbi degli scienziati sulla riduzione dei pesticidi: "Analizzare effetti reali su piante, insetti e suoli"
La Commissione Ue vuole un taglio del 50% entro il 2030. Ma diversi esperti mettono in discussione la misura
Il dado è tratto: la Commissione europea ha approvato il pacchetto Natura che prevede una riduzione del 50% dell'uso dei pesticidi entro il 2030. Una decisione storica, che tocca al tempo stesso i settori di ambiente, agricoltura e salute, ma lascia al contempo alcune perplessità rispetto alle reali ambizioni dell'Unione europea e alle concrete possibilità di attuarle.
A mettere in crisi i buoni propositi di Bruxelles vi sono i dibattiti più avanzati in ambito scientifico, che da diverso tempo mettono in discussione in primo luogo i criteri di calcolo dei livelli di tossicità dei pesticidi e di misurazione del loro uso nonché dei relativi residui sugli alimenti. Al dibattito si sono aggiunte ieri diverse voci critiche provenienti dalla conferenza One, una quattro giorni dedicata ad alimentazione e salute, organizzata dall'Efsa, l'agenzia europea che si occupa di sicurezza alimentare. Protagonisti di vari panel proprio i pesticidi e le modalità con cui viene gestita l'analisi del rischio.
Si tratta di un nodo cruciale per effettuare sia i calcoli sulla riduzione dell'uso di queste sostanze, come pure sulle decisioni riguardanti il rilascio delle autorizzazioni relative al commercio e all'uso di questi prodotti, reputati essenziali per la sopravvivenza delle coltivazioni, secondo i giganti dell'agribusiness, e nocivi per la biodiversità, nonché potenzialmente cancerogeni, dagli attivisti in materia di ambiente e salute. “I risultati sull'uso dei pesticidi sono estremamente diversi se consideriamo le interazioni con i diversi ecosistemi ed ambienti in cui vengono utilizzati”, ha affermato Antoine Masséan, ricercatore dell'Istituto nazionale francese di ricerca in agricoltura (Inra), che guida il settore sull'innovazione ecologica.
Lo studioso ha precisato che le analisi del rischio dovranno sempre più includere dati sulle conseguenze di lungo periodo, finora scarsamente valutate, che si riverberano su tutta una serie di elementi. “Le colture che tollerano gli erbicidi determinano un cambiamento nel regime stesso di questi pesticidi, ma anche nella lavorazione del suolo e nella rotazione delle colture”, ha precisato l'esperto francese, portando come esempio quello delle colture negli Stati Uniti, dove l'uso massiccio di questi composti chimici ha tra le altre cose accorciato la vita delle colture, imponendo agli agricoltori delle rotazioni più repentine rispetto al loro ciclo abituale.
In sostanza, ha sottolineato Masséan, i pesticidi non hanno semplicemente effetti sulle singole piante o su determinati insetti, ma determinano cambiamenti su tutta la biodiversità. Questo comporta la necessità di modificare l'analisi del rischio, in maniera tale che venga effettuata a livello globale e non più della singola sostanza sul singolo elemento della natura. Solo questa metodologia sarebbe in grado di spiegare gli effetti negativi che i pesticidi producono su un determinato territorio e sui suoi abitanti, siano essi animali o umani, in maniera non prevista dalle analisi di rischio effetuate per il rilascio delle autorizzazioni.
Lo stesso approccio olistico, ha evidenziato il ricercatore, dovrebbe avvenire nelle ricerche sugli organismi geneticamente modificati (Ogm), che rientrano a loro volta in numerosi studi, in particolare in quelli più recenti sull'editing del genoma. Questo settore è l'ultima frontiera nel campo degli Ogm, dove la modifica non avviene inserendo componenti esterni di Dna, come avveniva negli esperimenti di prima generazione, ma “potenziando” frammenti genetici già presenti nella pianta.
In relazione ai calcoli sulla tossicità si è espresso anche il professor Jeroen P. Van der Slujis, che collabora con le Università di Bergen e di Utrecht ed esperto nella valutazione del rischio sui pesticidi. “Per quanto riguarda i neonicotinoidi è stato analizzato finora un tempo sbagliato di esposizione”, ha commentato il docente riferendosi ad una categoria di pesticidi nota per essere estremamente nociva per le api, inibendo la loro capacità di nidificare. “È indispensabile investire nella fase successiva all'autorizzazione dei pesticidi, applicando strumenti di monitoraggio totalmente assenti in questo momento”, precisa lo studioso.
Sulla stessa lunghezza d'onda si è espressa Annette Aldrich: “ L' 'uso-sicuro' viene calcolato su esposizioni ipotetiche che non corrispondono alla realtà”, ha precisato la ricercatrice, aggiungendo: “Stiamo ignorando che la valutazione del rischio effettuata su sostanze simili non è oggetto di raggruppamento”. Questo significa che se sullo stesso terreno agricolo sostanze simili vengono utilizzate, l'analisi degli effetti che producono rimane distinta, senza che siano effettuati calcoli complessivi sulle conseguenze che l'interazione di queste sostanze provoca sugli ecosistemi coinvolti.
Lo sforzo richiesto alle aziende agricole per la rinuncia ai pesticidi sembra davvero arduo e per questa ragione Bruxelles sta provando a finanziare alternative alle sostanze chimiche, come estratti vegetali o microrganismi che combattono i parassiti, ma che risultano ad oggi molto più costose. Dopo aver di fatto “drogato” il settore, a partire dai suoli, immettendo nelle coltivazioni semi e piante per le quali risultano indispensabili i prodotti chimici, tornare indietro risulta estremamente arduo, in un momento in cui l'Ue chiede al contempo un incremento di produzione, per garantire la sicurezza e l'indipendenza alimentare degli europei.
“Il ricorso ai pesticidi fa parte di un discorso ben più ampio sul food system” ha ricordato Serenella Sala, capo unità delle Risorse del territorio presso la Commissione europea. Di tale sistema fanno parte non solo produttori e consumatori, ma anche tutto il canale della logistica e della distribuzione, il settore scientifico, oggi molto impegnato nella ricerca di alternative al consumo di carne, e soprattutto il vasto mondo dell'agribusiness, che da anni condiziona le nostre scelte alimentari, spesso a prescindere dai gusti e dalle specifiche necessità delle popolazioni interessate. “I consumatori sono sempre più consapevoli, informati e in grado di indirizzare le scelte in alcune sfide cruciali per la sostenibilità dei sistemi alimentari”, ha evidenziato la Sala. "Un cambiamento innanzitutto culturale è indispensabile al contempo tra produttori, consulmatori e scienziati, per realizzare determinati obiettivi" ha concluso l'esperta.