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Martedì, 19 Marzo 2024
Pesca ai limiti

Come le navi "invisibili" della Cina stanno danneggiando la pesca europea

Una flotta di oltre duemila navi riceve sussidi non trasparenti e opera oscurando la sua presenza. In questo modo si stanno esaurendo gli stock ittici disponibili

Invisibili solcano i mari di tutto il mondo pescando senza rispettare regole e criteri di sostenibilità ambientali. Non si tratta di pirati, ma della flotta peschereccia cinese, così come viene descritta da uno studio indipendente finanziato dal Parlamento europeo. Tramite sussidi statali non trasparenti, azioni di oscuramento e accordi sottobanco con Paesi africani ed asiatici, Pechino starebbe esaurendo le scorte negli oceani per sfamare la sua popolazione e soddisfare le esigenze delle industrie di trasformazione nazionali. La ricerca identifica i pericoli costituiti da queste pratiche, come pure le possibili soluzioni che l'Unione europea dovrebbe adottare per tutelarsi e non vedere esauriti gli stock ittici internazionali.

Sostenibilità bandita

Le flotte cinesi di acque lontane contano circa 900 navi. Queste sarebbero però solo quelle ufficialmente dichiarate. A destare timore sono invece le altre 2000 navi "invisibili" che operano fuori dalle coste cinesi per recuperare grandi quantità di pesce senza essere monitorate. Le catture totali cinesi ammontano attualmente a 14-16 milioni di tonnellate, di cui 3-4 milioni provengono dalla pesca d'altura, in particolare dalle acque al largo dell'Africa occidentale e del Sud America occidentale. Per gli Stati membri dell'Ue questi pescherecci costituiscono motivo di concorrenza e una sfida tra Davide e Golia, considerato che la flotta europea d'altura conta appena 259 imbarcazioni. Oltre i numeri, c'è un problema di modalità. Secondo i ricercatori, mentre le navi dei Paesi del blocco sono tenute a rispettare rigidi regolamenti sulle quantità e le tipologie di pescato, nonché a rispettare accordi di sostegno alle comunità locali di pescatori, la flotta cinese d'altura opera in modo più vantaggioso non dovendo sottostare a tali restrizioni. La sostenibilità ittica non sarebbe una priorità del governo guidato da Xi Jinping.

Una popolazione affamata

Cozze, bivalvi e ostriche sono specialità tipiche delle coste cinesi, ma l'aumento della ricchezza degli ultimi anni ha spinto la popolazione a mettere in tavola quantità sempre più elevate di pesce e a richiedere le tipologie più varie. In tal modo sono andati ad esaurirsi gli stock ittici nazionali. Per compensare, da un lato Pechino si è affidato agli allevamenti, diventando il principale importatore di farina di pesce, il mangime necessario nell'acquacoltura, dall'altro ha spedito oltreoceano centinaia di navi d'altura. A soddisfare la domanda di mangime sono soprattutto alcuni paesi dell'Africa occidentale, come il Senegal, dove però le richieste cinesi stanno creando scompensi nell'alimentazione locale. Le fabbriche di farina di pesce che esportano sfruttano tonnellate dei piccoli pesci che venivano abitualmente consumati dalla popolazione. Altro cambio di passo fondamentale della transizione riguarda il passaggio dell'industria ittica della Repubblica popolare da trasformatore ed esportatore di prodotti primari come i filetti all'accaparramento di prodotti acquatici di alta qualità destinati al consumo interno. Da qui il ruolo decisivo delle navi "invisibili" chiamate a soddisfare un mercato nazionale sempre più vasto ed esigente.

Navi oscurate

Le flotte d'altura cinesi attraversano così gli oceani per recuperare specie pregiate, introvabili nelle loro acque nazionali, e per catturare quantità ingenti di pescato. Da cosa deriva la discrepanza tra navi visibili ed "invisibili"? Ci sono vari fattori. Le attività di trasbordo in aree come il Perù e l'Ecuador, sottolinea lo studio, avvengono principalmente con navi da scoglio che battono bandiere di Paesi terzi, soprattutto di Panama, Paese noto per nascondere la proprietà effettiva delle imbarcazioni. Un'altra ragione consta nel fatto che le navi cinesi che operano nel sud del Giappone e intorno alla penisola coreana, di solito non vengono calcolate nelle flotte d'altura di Pechino, pur ammontando ad oltre 2000 imbarcazioni. La scarsa trasparenza costituisce un problema non solo sul numero di navi e le relative catture, ma anche in merito alle sovvenzioni. Il team di ricerca evidenzia che le flotte cinesi che operano in Mauritania e Senegal "hanno ricevuto alti livelli di sussidi dal governo cinese". Quelle che operano invece in Madagascar, Mauritius, Ecuador e Isole Salomone non offrono informazioni chiare su eventuali aiuti di Stato. Tutti questi fattori faciliterebbero pratiche di pesca illegale.

Come difendersi

L'Unione europea in questi anni ha siglato accordi di partenariato con numerosi Paesi, per facilitare cooperazione e dialogo in mare. Con la Cina ha stipulato uno specifico accordo bilaterale, che risulterebbe però depotenziato a causa di singoli accordi tra Pechino e alcuni Stati membri. Questi trattati non riescono a frenare l'esaurimento degli stock ittici, il degrado ambientale nonché le pratiche di concorrenza sleale poste in essere dalle navi "invisibili". Per arginare il dominio cinese, gli studiosi suggeriscono all'Unione europea varie raccomandazioni. Bruxelles dovrebbe ad esempio incoraggiare le aziende ittiche a cercare partner di trasformazione primari al di fuori della Cina, suggerendo di sfruttare la "forza lavoro capace ma più conveniente" di Paesi come Vietnam, Cambogia, e dell'Asia meridionale. Le alternative potrebbero essere anche in Africa e in LatinoAmerica. Altro strumento riguarda la protezione degli stock ittici di interesse per gli europei, in particolare per quanto riguarda il tonno del Pacifico occidentale. A loro volta gli Stati membri dovrebbero astenersi "dal negoziare accordi individuali" per concentrarsi invece sulla cooperazione con le istituzioni europee. Infine, suggeriscono di ricordare ai negoziatori cinesi che le pratiche predatorie e di sovra-sfruttamento vanno in direzione opposta al "secolo ecologico" proclamato dal governo di Pechino. Più cooperazione e meno concorrenza spietata.

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