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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Perché stiamo mangiando più prodotti con olio di palma (spesso senza saperlo)

Per far fronte alla carenza di olio di girasole, bloccato dalla guerra in Ucraina, l'Italia ha autorizzato le industrie alimentari a sostituirlo con altri grassi vegetali, ma le etichette non sono del tutto trasparenti

Rischiamo di mangiare prodotti con olio di palma senza esserne consapevoli. Anche questo è uno dei risvolti della guerra in Ucraina, che ha cambiato le carte in tavola in molti ambiti del settore alimentare. Oltre al picco dei prezzi per grano e mais, una questione centrale riguarda gli oli vegetali. Kiev è uno dei principali produttori al mondo di quello di girasole (60% a livello mondiale) e detiene il 75% dell’export, ma è stata costretta dall'invasione russa a bloccare le vendite all'estero, mentre le colture dei prossimi anni sono a rischio. Venuti meno i rifornimenti dai porti del Mar Nero, l'Italia ha autorizzato già oltre un mese fa l'industria alimentare a sostituire l'olio di girasole con grassi alternativi, senza dover modificare le etichette sulle confezioni in modo preciso.

Etichette provvisorie

Nella lista degli ingredienti, come si legge nella circolare del Ministero dello sviluppo economico, i produttori potranno inserire “un'informazione generica della categoria oli e grassi vegetali, seguita dalle origini vegetali potenzialmente presenti, in considerazione delle forniture disponibili”. Una dicitura che potremmo trovare è, ad esempio “oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia, ecc.)”, senza ulteriori specifiche. Nel caso, però, in cui le confezioni presentino frasi come "100% organico" o "senza olio di palma", la sostituzione dell'olio di girasole deve essere immediatamente segnalata “eventualmente tramite etichettatura aggiuntiva o altra analoga modalità, per garantire la corretta informazione dei consumatori”, specifica il dicastero.

La norma, di carattere temporaneo ed emergenziale, cerca di venire incontro alle esigenze delle aziende che affrontano difficoltà di approvvigionamento a causa del conflitto in Ucraina. L'invasione russa ha scatenato un effetto domino, con panico sui mercati alimentari e scarsità per le industrie, che fanno largo uso di grassi vegetali per conserve, biscotti, piatti pronti e prodotti surgelati. In Francia è stata adottata in questi giorni una norma analoga, ma con chiarimenti più specifici rispetto alle tempistiche. I produttori d'Oltralpe dovranno richiedere un'apposita deroga per utilizzare olio di colza o di palma al posto di quello di girasole, mentre avranno sei mesi di tempo per modificare i loro imballaggi. Prima di due mesi, dovranno comunque indicare sull'imballaggio una modifica nella ricetta, senza per forza specificare quale.

Impegni condivisi

La circolare italiana richiede anche alla distribuzione al dettaglio di impegnarsi per informare tempestivamente il consumatore sulla possibile sostituzione dell’olio di girasole, mediante avvisi nei punti vendita con appositi cartelloni e insegne. Alle deroghe sull'etichettatura potranno far ricorso migliaia di aziende, in particolare quelle che producono cibi fritti (come le patatine o le Chips), impanati, margarina, come pure salse (tipo maionese e senape), impasti per torte, conserve sott'olio. Il girasole è presente in molti prodotti anche sotto forma di additivo, la lecitina, come nei cioccolatini.

Le autorità hanno cercato un compromesso che soddisfi i doveri di trasparenza nei confronti dei consumatori, ma al tempo stesso riesca a venire incontro alle esigenze delle industrie alimentari, le cui produzioni rischiano di essere travolte dalla scarsa disponibilità di olio di girasole. Rispetto a queste scelte, l'ong Foodwatch, insistendo sulla necessità di una "trasparenza totale", chiede ai produttori e ai distributori di "facilitare l'accesso alle informazioni sugli scaffali e direttamente sui prodotti in questione", ad esempio tramite l'applicazione di Qr code, che diano accesso diretto a un'etichetta digitale, che può essere modificata tempestivamente.

Olio di palma nascosto

Una delle principali alternative al girasole è l'olio di palma. L'Indonesia ha annunciato la settimana scorsa un divieto di export di circa un mese, relativo ad uno specifico prodotto: l'oleina di palma raffinata, sbiancata e deodorizzata. Una decisione che ha destato preoccupazione sui mercati, dato che i produttori si sono sentiti minacciati dalla carenza di un'ulteriore grasso vegetale, e da un conseguente aumento dei prezzi. L’Italia importa da Jakarta olio di palma per un valore di circa 590 milioni di euro, che rappresentano quasi la metà del totale delle importazioni dall’estero (circa 1,3 miliardi di euro nel 2021). Questo prodotto negli anni scorsi era stato sostituito da numerose imprese in Italia sia per motivi legati alla salute, dato che ha un elevato contenuto di acidi grassi saturi, sia per ragioni ambientali, visto che la sua produzione è connessa al disboscamento selvaggio di vaste foreste e allo sfruttamento di lavoratori sottopagati.

Per tali ragioni la scritta “senza olio di palma” è diventata una delle più diffuse sugli scaffali e nelle pubblicità. Oggi però le industrie possono vedersi sospinte a tornare sui propri passi, costrette ad inserire questo ingrediente nelle loro ricette per la difficoltà di reperirne altri, senza dover comunicarlo nell'immediato ai consumatori. Secondo la Coldiretti, la decisione dell’Indonesia di bloccare in modo provvisorio l'export potrebbe invece accelerare la sostituzione di questo ingrediente con altri più salubri ed a minor impatto ambientale come il burro, l’olio di oliva o l'olio di nocciola, utilizzato storicamente nelle creme spalmabili.

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