rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Guerra e agricoltura

Pasta col grano ucraino: chi ci guadagna

La guerra ha generato una speculazione globale. In Italia i grandi marchi lo acquistano al ribasso, ma i veri protagonisti sono stati i fondi speculativi

Nell'ultimo anno e mezzo il prezzo della pasta è aumentato in media del 30%, ma gli agricoltori italiani ci stanno guadagnando il 40% in meno. Il fenomeno è da ricondursi principalmente (ma non solo) all'invasione del grano Ucraino, acquistato a prezzi ribassati rispetto a quello tricolore. Se all'inizio del conflitto con la Russia era sparito dai radar per alcuni mesi, viste le difficoltà di esportazione, adesso cereali e semi oleosi provenienti da Kiev stanno contribuendo a generare una crisi per gli agricoltori. In cima alla lista dei responsabili, secondo i produttori italiani, ci sono i vertici della filiera: i grandi marchi della pasta che hanno aumentato le importazioni di grano estero, abbassando i costi di produzione, ma aumentando quelli di vendita. Un'inchiesta internazionale ha messo in luce anche un altro fattore determinante dello squilibrio: la speculazione operata da grandi fondi internazionali, che hanno recuperato quasi due miliardi di euro dalle fluttuazioni dei prezzi.

Export stellare

Un mercato della pasta con grano 100% italiano risulta sempre più una chimera. L'ingrediente per eccellenza dei primi piatti made in Italy si è diffuso a livello globale e i tassi di crescita promettono ampi margini di miglioramento. Che siano francesi o statunitensi, i consumatori cercano prodotti italiani, ma premiare i marchi del Belpaese raramente coincide col gratificare i nostri produttori di grano. Men che meno nell'ultimo anno. I pastifici industriali sono gli unici a sorridere. Come ha raccontato al Sole24Ore Antonio De Cecco, amministratore delegato dell'omonimo marchio di pasta, lo scorso anno nonostante lo scoppio della guerra è stato più che positivo: "In questi giorni chiuderemo il bilancio 2022 a quota 620 milioni con una crescita del 20% solo nell’ultimo anno". A trainare le vendite ci sono gli Stati Uniti, dove De Cecco ha registrato un progresso del 30% nei volumi esportati, passando da 260mila quintali di pasta a 330. "E ancora di più nel fatturato passato da 70 a 110 milioni di euro con un incremento del 55%", ha spiegato l'ad del gruppo, precisando come in un anno sia quasi raddoppiata la quota di mercato Usa passata dal 3 al 5%. Nel 2023, l'azienda prevede un ulteriore incremento del 15%.

Rinunciare alla semina

Questa crescita si è tradotta in guadagni maggiori per chi si occupa della materia prima nei campi dello Stivale? Decisamente no. Le quotazioni del grano duro italiano, in meno di un anno, sono passate da 580 euro/tonnellata del giugno 2022 agli attuali 360 euro/tonnellata. Il prezzo della prima metà del 2022, va detto, era stato anche "gonfiato" dalla carenza di grano dall'Ucraina, con le navi sul Mar Nero bloccate dalla minaccia russa. Al netto di questo elemento, il divario resta considerevole. Secondo un'inchiesta del Salvagente, ci sono stati rincari anche del 70%, col prezzo medio al chilo passato da 1,42 euro (luglio 2021) a 1,84 euro (luglio 2022), ed ulteriori rincari nel 2023. "La situazione è semplice e drammatica: con i prezzi riconosciuti ai produttori, le aziende agricole non riescono a coprire i costi di produzione. Il valore e la redditività devono essere redistribuite più equamente lungo la filiera", ha dichiara Cristiano Fini, presidente nazionale di Cia – Agricoltori italiani. La scarsa redditività, si teme, potrebbe spingere ad abbandonare questa coltivazione così iconiche per il Paese. Che ruolo gioca in questo contesto il grano ucraino?

Cereali meno sicuri e a prezzi vantaggiosi

Sulla base delle elaborazioni della Coldiretti dei dati Istat relativi al 2022, è emerso che le importazioni in Italia di grano proveniente da Kiev sono triplicate nello scorso anno, per un quantitativo pari a 358 milioni di chili, in aumento del 193% rispetto all’annata precedente. "Il grano ucraino ha un prezzo inferiore, ed è quindi molto appetibile per le industrie molitorie e quelle della pasta", ha sostenuto Angelo Miano, presidente Cia per la provincia di Foggia, l'area che vanta il primato della produzione di grano duro in Italia. "Costa meno di quello italiano perché ha costi di produzione inferiori ai nostri". Miano ha ricordato anche come in Ucraina non siano in vigore le normative Ue sull'uso di pesticidi né quelle sugli standard di qualità e sicurezza alimentare. "Non è concorrenza tra poveri, perché a essere ricchi e ad arricchirsi ancora di più sono soltanto le grandi aziende produttrici che in Ucraina hanno il controllo totale della produzione cerealicola del loro Paese", ha messo in evidenza il delegato.

Grano dal deserto

Alle accuse degli agricoltori, indirettamente ha risposto Antonio De Cecco sottolineando come la richiesta di grano estero risieda nell'insufficienza della quantità di grano prodotto: "In media manca un terzo del nostro fabbisogno di grano. Produciamo in media 40 milioni di quintali l’anno e ce ne servono 60-65". Secondo l'ad del marchio, non si tratta solo di convenienza dei prezzi, asserendo che la sua azienda ne acquista negli Stati Uniti (Arizona e California) e in Australia. Ha inoltre precisato che questi grani sono spesso prodotti in aree desertiche irrigate, in condizioni molto meno dipendenti dai fattori climatici. "Quel prodotto lo paghiamo di più del grano italiano e per questo saremmo felici se in Italia aumentasse la produzione di grani di qualità", ha riferito l'ad del marchio.

Nel caso della De Cecco non si tratterebbe di grano ucraino comprato al ribasso, ma può parlarsi davvero di "pasta tricolore" se il grano non è italiano? No, secondo gli oltre 40mila consumatori che in pochi giorni hanno aderito alla raccolta firme lanciata dalla Cia "Salviamo il grano italiano". La questione non si riduce però a slogan patriottico-sovranisti. "Non contestiamo la necessità di importare una quota di grano dall'estero per coprire parte del fabbisogno industriale", ha spiegato Gennaro Sicolo, presidente della Cia Puglia, "ma temiamo che quella quota si avvii a essere maggioritaria e che l'aumento incontrollato delle importazioni porti alle estreme conseguenze una dinamica già in atto: la riduzione progressiva della produzione di grano italiano, la chiusura di centinaia di aziende cerealicole e la perdita di migliaia di posti di lavoro".

Algoritmi e speculazioni

Oltre ai pastifici industriali, a guadagnarci dal complesso quadro sul grano sono gli speculatori. "I primi 10 hedge fund (fondi speculativi, ndr) del mondo hanno realizzato profitti per quasi 2 miliardi di dollari dal commercio di grano e semi di soia nel periodo precedente e successivo all'invasione dell'Ucraina", ha riassunto il media Lighthouse Report a proposito un'inchiesta giornalistica condotta in collaborazione con Unearthed, la costola investigativa di Greenpeace. Per realizzare questi profitti eccezionali, i fondi hanno sfruttato tecniche di "trend following". In sostanza, vengono utilizzati algoritmi per individuare prezzi in aumento o in calo, che determinano l'acquisto o la vendita automatica di derivati ​​finanziari in risposta a questi trend. I profitti pari ad 1,9 miliardi di dollari, secondo gli autori dell'inchiesta, risultano significativamente superiori rispetto allo stesso periodo dei cinque anni antecedenti.

Questa la lista dei primi 10 fondi speculativi: Managed Futures Offshore, gestito da AQR Capital Management; il fondo Managed Futures, gestito da AlphaSimplex Group; Diversified, gestito da Aspect Capital; BlueTrend gestito da Systematica Investments; Tactical Trend A, gestito da Graham Capital Management; Systematic Trend, gestito da ISAM; Lynx Bermuda D, gestita da Lynx Asset Management; Man AHL Alpha, gestito da Man Investments; DTP Enhanced Risk, gestito da Transtrend BV; Winton Trend, gestito da Winton Capital.

Dave Whitcomb, analista della società di consulenza commerciale Peak Research, ha evidenziato che i fondi speculativi hanno iniziato ad acquistare pesantemente contratti di grano e mais nelle settimane precedenti l'invasione, quando sono emerse notizie sulle truppe di Putin che si ammassavano sul confine ucraino. "Il loro obiettivo è salire presto sul treno... in modo che stiano già acquistando merci prima della grande mossa", ha detto l'analista. Con la guerra gli speculatori avrebbero vinto un vero e proprio jackpot, colpendo al contempo milioni di persone in tutto il mondo costrette ad affrontare un ben più elevato costo della vita legato a beni essenziali.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Pasta col grano ucraino: chi ci guadagna

AgriFoodToday è in caricamento