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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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L'Ungheria stoppa l'export di cereali, allevamenti italiani rischiano di restare senza mangimi

Mais, grano, soia e girasole non usciranno dal Paese fino al 22 maggio per combattere l'aumento dei prezzi causato dal conflitto in Ucraina. Il nostro Paese ne importa 1,6 miliardi di chili l'anno

L'Ungheria ha vietato tutte le esportazioni di grano con effetto immediato a causa dell'aumento dei prezzi causato dall'invasione russa dell'Ucraina. La dichiarazione del ministro dell'agricoltura Istvan Nagy al canale televisivo RTL interessa beni di prima necessità alimentare quali di cereali, soia e girasole. L'annuncio può avere gravi ripercussioni sull'Italia. Nel nostro Paese, secondo i calcoli della Coldiretti, sarebbe a rischio un allevamento su quattro, data la forte dipendenza dal mais importato da Ungheria e Ucraina per l’alimentazione degli animali. Ettore Prandini, presidente della confederazione, denuncia il comportamento irresponsabile di un Paese che fa parte dell’Unione Europea come l’Ungheria, che ha bloccato anche l’export di grano e altri cereali come segale, orzo, avena nonché quello di semi di soia e di girasole fino al 22 maggio. “E’ stata notificata a Bruxelles una decisione che compromette il mercato unico e mina le fondamenta stesse dell’Unione Europea” afferma Prandini nel sollecitare “un opportuno intervento della Commissione europea per fermare un comportamento assurdo ed assicurare il regolare funzionamento del mercato unico”.

Dello stesso tono la reazione di Confagricoltura: “A seguito dei drammatici avvenimenti in corso in Ucraina, i mercati internazionali delle principali materie prime agricole sono sotto pressione” sottolinea il presidente Massimiliano Giansanti, “ma vanno respinte le iniziative nazionali unilaterali all’interno della UE. La capacità produttiva di cereali dell’Unione è tale da poter gestire anche questa difficilissima situazione”. Nel frattempo, anche la Bulgaria ha stabilito di aumentare per precauzione gli stock pubblici di cereali per un ammontare di 1,5 milioni di tonnellate. Il risultato è quello di ridurre i volumi delle vendite all’estero.

Solo nel 2021 dall’Ungheria sono arrivati in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais mentre altri 0,65 miliardi di chili dall’Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili che rappresentano circa la metà delle importazioni totali dell’Italia. La dipendenza dall’estero riguarderebbe circa la metà del fabbisogno interno. “Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame” avverte Prandini nel precisare che “da salvare ci sono tra l’altro 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e oltre 6 milioni di pecore”. L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti dalle industrie agli agricoltori, che hanno deciso di ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni. Nello stesso arco di tempo, è scomparso anche un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.

Secondo Coldiretti, queste scelte scellerate sono il frutto della miopia di molte industrie, che hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti nazionali attraverso i contratti di filiera. Prandini sottolinea che “ci sono le condizioni produttive, le tecnologie e le risorse umane per raggiungere in Italia l’autosufficienza alimentare”. Per conseguirla, occorrerebbe lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr. Al tempo stesso, Coldiretti evidenzia che andrebbero incentivate le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni, attraverso l'Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (Ismea) e fermando le speculazioni sui prezzi pagati agli agricoltori, applicando il decreto sulle pratiche sleali.

Il prezzo del grano, ricorda in una nota, ha messo a segno un aumento del 40,6% in una settimana per un valore ai massimi da 14 anni di 12,09 dollari per bushel (che equivalgono a 27,2 chili). Un record che non si raggiungeva dal 2008. Valori al top del decennio riguardano anche le quotazioni di mais, mentre la soia sale del 5% nella settimana, secondo i dati forniti dal Chicago Board of Trade, punto di riferimento per le materie prime agricole.

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