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Venerdì, 29 Marzo 2024
Fake & Fact

Ucraina e inflazione: la nostra sicurezza alimentare è a rischio?

10 domande (e risposte) per sfatare alcuni falsi miti. E capire cosa potrebbe succedere ai nostri portafogli, e all'ambiente

La guerra in Ucraina ha fatto deflagrare la questione della sicurezza alimentare, una tematica globale, che colpisce in modo locale le nostre vite, con aumento dei prezzi, scarsità delle materie prime e, nelle ipotesi peggiori, vere e proprie carestie. Pur essendo gli Stati europei distanti dai rischi peggiori, l'Ue ha comunque registrato una crisi dei mercati, scatenata in particolare dalla carenza di grano, mais e oli vegetali (come girasole e colza), di cui l'Ucraina è un produttore/esportatore a li vello mondiale.

Per fronteggiare le difficoltà insorte, nelle scorse settimane la Commissione europea ha adottato un pacchetto di azioni in nome appunto della sicurezza alimentare, che hanno messo in discussione anche le recenti norme adottate solo pochi mesi fa in nome della sicurezza agro-ecologica. Sembra quasi che le due questioni siano antagoniste tra loro, quando invece sono ben più intrecciate e rinunciare ad alcune misure ambientali può in realtà aggravare l'insicurezza alimentare.

Secondo diverse associazioni, Ong, attivisti, tra cui il Wwf, la Lipu, il Pesticide action network, queste misure sono in realtà il frutto di speculazioni, che contribuiscono solo a peggiorare lo stato dei suoli e la qualità del cibo, compromettendo ancor più la capacità di produzione agroalimentare e la salvaguardia dell'ambiente. Vediamo insieme i principali quesiti che emergono da questa crisi, provando a sfatare alcuni falsi miti.

1. La guerra ha messo in crisi il sistema agroalimentare italiano?

La guerra in Ucraina in Italia ha avuto un impatto diretto solo su alcune materie prime, che il nostro Paese importa dall’est dell’Europa, in particolare si tratta di mais e olio di girasole. Le conseguenze più incisive riguardano il settore zootecnico, dato che negli allevamenti c'è un enorme consumo di mais. Nell'Ue ben il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali proviene da Paesi non membri. Questo vale anche per l'Italia, dove oltre l’80% del mais è destinato agli allevamenti. Ad aggravare le perdite, per il mancato arrivo di merci provenienti dai porti del Mar Nero, si è aggiunto il blocco delle esportazioni di cereali, stabilito dall’Ungheria, che ha tentato in questo modo di tutelare la domanda interna.

Il Paese guidato da Viktor Orbàn fornisce circa il 35% di mais all’Italia, risultandone il principale fornitore. La dipendenza italiana dal mais estero è aumentata da alcuni anni a causa di una netta riduzione delle superfici a mais nel nostro Paese. Dato che il prezzo di questa materia prima si era nettamente abbassato, gli agricoltori hanno preferito altre colture più redditizie; così nell'arco di un decennio, la produzione di mais italiano soddisfa appena il 50% del fabbisogno totale. Anche la filiera dell’olio di girasole (usato per conserve, prodotti da forno, salse, fritture) sta risentendo degli effetti della guerra, dato che l’Ucraina detiene il 60% della produzione e almeno il 75% dell’export mondiale. Se è vero che l’olio di girasole può essere però sostituito con altri oli vegetali disponibili sul mercato, l'acquisto in grosse quantità di questi oli “alternativi” da parte dell'industria può determinare un aumento dei prezzi anche di questi ultimi.

2. Quest’anno avremo carenza di grano e cereali a causa della crisi ucraina?

Le aziende agroalimentari italiane importano da Russia e Ucraina una quantità molto ridotta di grano, che per quello tenero rappresentano una quota inferiore al 4% delle importazioni. Se si considera l'intero fabbisogno (quindi il totale del grano nostrano e quello importato che consumiamo ogni anno), la quota russa-ucraina si riduce ancora di più, intorno all'1,2%. Ciò nonostante, i prezzi di farina, pasta e altri cibi a base di grano sono in crescita. L’aumento del costo del grano è in atto da prima del conflitto, causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, provocata dalla siccità che ha colpito il Nord America nella stagione 2020-21.

3. Le speculazioni finanziarie stanno condizionando il settore agroalimentare?

Oltre agli operatori commerciali “classici”, ad influire sul mercato sono soprattutto gli operatori finanziari, che seguono esclusivamente le intenzioni di vendita o acquisto dei titoli che sono di breve o brevissimo termine. Chi possiede “futures”, il cui prezzo è in aumento in un certo periodo come quello attuale, ne ritarda la vendita per realizzare maggiori ricavi grazie all'incremento dei prezzi. Questi, in definitiva, salgono ancora di più perché l’offerta cala e la domanda cresce, indipendentemente dalla produzione agricola reale, solo per effetto delle strategie di acquisto e vendita dei titoli.

4. Le lobby dell’agricoltura convenzionale stanno sfruttando la crisi legata alla guerra?

Le associazioni agricole, in particolare quelle che rappresentano grandi aziende, sono apparse immediatamente soddisfatte delle scelte dell'Ue di derogare alle norme ambientali della nuova Politica agricola comune (Pac) e agli obiettivi delle strategie Ue “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”. Secondo gli attivisti ambientali, la crisi in Ucraina si starebbe rivelando l'occasione giusta per esercitare pressione su politici, nazionali ed europei, al fine di cancellare o ridimensionare le norme a tutela dell'ambiente e che promuovono una conversione agricola al green e votata alla qualità del cibo più che alla quantità.

5. Quali sono i Paesi più colpiti dal conflitto nel settore agroalimentare?

In primo luogo l'Ucraina stessa, che sta perdendo la possibilità di recuperare i raccolti di questa annata e che sta vedendo i suoi campi oggetto di vere e proprie strategie militari. La superficie seminata quest'anno è di gran lunga inferiore rispetto ai livelli degli scorsi anni e non è detto che ci siano uomini e mezzi disponibili per recuperare i raccolti. I danni provocati dal conflitto non solo hanno compromesso la capacità di esportazioni del Paese, ma la stessa sicurezza alimentare del popolo ucraino. Ad essere colpiti in modo diretto dalle conseguenze del conflitto sono anche i Paesi del Nord Africa, come l'Egitto, e dell'Oriente, come Yemen e Bangladesh, data la loro forte dipendenza dalle importazioni di cereali ucraini e russi. Una vulnerabilità tale da far temere carestie e conseguenti insurrezioni.

Va precisato che ci sono anche Stati che si stanno in qualche modo avvantaggiando da questa situazione. Essendo (momentaneamente) sparito uno dei principali “player” del mercato agroalimentare come l'Ucraina, altri cercano di incrementare il proprio peso, inserendosi nello spazio lasciato libero da Kiyv. Pensiamo ad esempio all'India, che quest'anno esporterà la cifra record di 7 milioni di tonnellate di grano, grazie a prezzi più competitivi rispetto a quelli dei mercati internazionali, dove il grano ha ormai sorpassato i 400 euro a tonnellata. Altri Stati “premiati” dal conflitto sono l'Argentina, la cui produzione di grano è stata particolarmente abbondante quest'anno, ma anche il Brasile, che potrà esportare più facilmente nell'Ue i suoi prodotti, grazie ad un rilassamento delle norme sui pesticidi.

6. Perché è importante ridare spazio alla natura nelle aziende agricole?

Nelle aziende agricole le aree dedicate alla natura non sono aree incolte improduttive, ma sono essenziali per mantenere in vita alcuni elementi dell'ecosistema indispensabili per le coltivazioni. Pensiamo alla conservazione degli insetti impollinatori (come le api) che necessitano di queste aree naturali per la loro alimentazione e riproduzione. Stesso discorso per gli “insetti antagonisti”, che aiutano a combattere in modo naturale i parassiti e gli insetti nocivi per le piante. Per questa ragione, nella strategia Biodiversità 2030 dell’Ue, è stata inserita la necessità di destinare nelle aziende agricole almeno il 10% delle superfici alla conservazione della biodiversità naturale e dei relativi servizi, in modo tale da assicurare la stabilità degli ecosistemi. Una norma che, come visto, per ora è saltata in nome della sicurezza alimentare.

7. Il cambiamento climatico che impatto sta avendo sulle produzioni agricole?

Varie zone dell'Unione europea stanno vivendo gravi periodi di siccità. Pensiamo alla drammatica situazione in Spagna e in Portogallo. Altrettanto grave la situazione nel Nord Italia, dove, a seconda delle zone, ha piovuto tra il 50% e il 90% in meno rispetto alla media degli anni precedenti. Il fiume Po, totalmente in secca, è divenuto l'emblema di questa crisi idrica, sia a causa delle scarse precipitazioni che per l'assenza di neve, che di norma si scioglie delle montagne, contribuendo ai corsi d'acqua. A pagarne le conseguenze non è solo l'ambiente.

Secondo la Cia Agricoltori italiani, nella zona del Po “la siccità ha fatto già fuori il 50% del grano precoce”, mentre negli ultimi 12 mesi in Emilia-Romagna, “dove piove ormai meno che in Israele, hanno fatto registrare appena 392 millimetri d’acqua”. La siccità prolungata, oltre a ridurre i raccolti, fa incrementare i costi di produzione. Inoltre, l’aumento nella frequenza e nell’intensità di eventi meteorologici estremi (come alluvioni, grandinate, gelate tardive) impatta le colture, talvolta distruggendo del tutto determinati raccolti e arrecando gravi danni alle infrastrutture, come stalle e mezzi meccanici.

8. Conviene consumare meno carne per garantire la sicurezza alimentare?

A oggi il 70% della superficie agricola utilizzata in Europa è dedicata a materie prime destinate ai mangimi per allevamenti intensivi, che rispondono a una domanda crescente di carni, salumi, formaggi, latticini, uova, nonché pellami per l’abbigliamento e l’industria manifatturiera. Le filiere zootecniche dell'Ue dipendono sempre più dalle importazioni da Paesi extra Ue, caratterizzati dalla deforestazione e dalla distruzione di ecosistemi nelle aree più ricche di biodiversità del nostro Pianeta. In Sud America la foresta amazzonica viene distrutta incessantemente a causa dall’estendersi delle coltivazioni di soia e di pascoli per l’allevamento dei bovini da carne.

Per quanto riguarda poi le emissioni di gas serra da parte di agricoltura e allevamenti, ricordiamo che il metano, generato dal metabolismo degli animali allevati, è uno dei responsabili del grave inquinamento da nitrati di suoli e corsi d’acqua. L’Italia importa dall’estero il 90% della soia (di cui il 35% dal Brasile) e il 50% del mais (principalmente dall'Ungheria), materie prime utilizzate in larga parte per la produzione di mangimi per la zootecnia intensiva, reputata attraente visto l'alto margine di guadagno. In questi giorni la forte dipendenza dall’estero incide sui prezzi di prodotti connessi ai mangimi, con rialzi in alcuni casi anche superiori al 100%. "La superficie agricola liberata dalle produzioni destinate alla zootecnia potrebbe essere destinata a produzioni alimentari destinate direttamente agli esseri umani", scrive il Wwf.

9. Quali misure ha adottato l'Ue in nome della sicurezza alimentare?

La nuova Pac, approvata solo pochi mesi fa, prevede l’obbligo di destinare alla conservazione della natura almeno il 4% delle superfici utilizzate per i seminativi, ma solo per le aziende che hanno una superficie agricole superiore ai 10 ettari. Con la guerra in Ucraina, la Commissione ha approvato invece una deroga a questa norma. In questo modo, 4 milioni di ettari complessivi negli Stati membri, anziché essere salvaguardati, saranno destinati a cereali e legumi, ma senza che siano stati fissati dei vincoli su cosa seminare e senza riuscire a calcolare in anticipo l'effettiva produttività di questi terreni. Entro il 2030, inoltre, era prevista la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e antibiotici, come pure la riduzione del 20% dell’uso dei fertilizzanti chimici di sintesi.

A tal proposito, Bruxelles avrebbe dovuto presentare il nuovo piano sull'uso sostenibile di pesticidi (Sustainable use of pesticides directive - Sud) lo scorso 23 marzo, ma ha deciso di “congelare” questa decisione, senza fissare una nuova data, motivandolo con le urgenze dettate dal conflitto. Pur trattandosi di deroghe “temporanee”, il timore è che il protrarsi della guerra e delle sue ripercussioni, possa indurre l'Ue a rinunciare in maniera definitiva ad alcuni obiettivi essenziali.

10. Bisogna intensificare sempre di più le produzioni per aumentare la sicurezza alimentare?

L’agricoltura intensiva, basata sulle pratiche dipendenti dagli input chimici (fertilizzanti e pesticidi) produce grandi quantità di beni alimentari con bassi costi di produzione. Questa capacità viene presentata come l'ideale per “sfamare il mondo” dalle lobby dell'industria alimentare. Ma organizzazione ambientaliste e dei piccoli produttori sostengono che in realtà la ragione umanitaria serva a nobilitare la creazione di cibo adatto alla grande distribuzione organizzata, sostenuta da catene logistiche globalizzate. Questo sistema presenta alcuni svantaggi, secondo i detrattori: innanzitutto funziona a discapito dei sistemi naturali, inducendo a produrre solo le qualità più richieste e che meglio si prestano alle scelte di determinati consumatori, con una perdita costante in termini di varietà e biodiversità.

In secondo luogo, è fortemente dipendente dalle fonti energetiche fossili per la produzione di fertilizzanti chimici e pesticidi, per l’utilizzo dei mezzi meccanici, per le filiere logistiche globali. Questo significa, come stiamo vedendo in questi giorni, che una crisi negli approvvigionamenti delle materie prime o legata a un aumento dei costi di carburanti, energia o fertilizzanti chimici, ha ripercussioni immediate sui costi di produzione e sui prezzi di mercato. Questo riduce l’accessibilità del cibo a un prezzo equo per tutti i cittadini, in particolare nei Paesi più poveri. Considerata la mole di sprechi alimentari e di cattiva nutrizione che caratterizza i Paesi occidentali, "intensificare la produzione non è la risposta risolutiva ai problemi di sicurezza alimentare", dice il Wwf.

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