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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Altro che crisi della carne: in Europa crescono gli allevamenti intensivi

Sarebbero triplicati quelli di suini e quasi quadruplicati quelli di pollame colpiti dalla direttiva sulle emissioni industriali, il cui impatto si basava su dati del 2016. Intanto le aziende agricole sono diventate più grandi e intensive

Un impatto triplicato per gli allevamenti suini e quasi quadruplicato per quelli di pollame. È quanto emerge da un documento trapelato a Bruxelles rispetto ai calcoli effettuati dalla Commissione europea sulle aziende agricole "colpite" dalla proposta di direttiva sulle emissioni industriali. In sostanza, nell'Unione europea ci sarebbero molti più allevamenti intensivi rispetto al 2016. Risalgono a questo periodo i dati che i funzionari europei avevano utilizzato per sapere quante fattorie sarebbero state interessate dalla nuova normativa. In base ai calcoli, doveva trattarsi in media di circa il 13% delle aziende agricole Ue, mentre utilizzando dati più aggiornati si arriverebbe ad una media del 20% circa, ma con picchi per gli allevamenti avicoli e di maiali. Il piano di Bruxelles è quello di accelerare il percorso di riduzione delle emissioni, rendendolo compatibile con gli obiettivi del Green Deal e con la strategia sul metano, le cui emissioni sono strettamente connesse alla zootecnia.

Strutture agricole, emissioni industriali

L'errore è stato svelato dal portale Euractiv dopo aver avuto accesso ad un documento presentato dal servizio Ambiente della Commissione europea (Dg Env) al gruppo di lavoro sull'ambiente del Consiglio Ue del 30 gennaio, e che offre una panoramica sullo stato di avanzamento della proposta di direttiva sulle emissioni industriali (Ied). Presentata nell'aprile del 2022 dall'esecutivo Ue, la proposta ha come obiettivo la riduzione di emissioni nocive provenienti dagli impianti industriali, nel cui campo di applicazione ricadono anche i grandi allevamenti di bestiame, includendo per la prima volta quelli bovini. La misura è stata considerata sin dall'inizio piuttosto controversa, dato che il mondo agricolo non intende essere assimilato a quello industriale, nonostante la mole di prodotto e gli impianti utilizzati nelle grandi strutture presentino caratteristiche molto simili a quelle di aziende del settore secondario, anche in termini di inquinamento.

La soglia dibattuta

Nello specifico, in base alla soglia stabilita di 150 "unità di allevamento", verrebbero colpiti tramite una tassazione più elevata e a misure più stringenti di riduzione delle emissioni gli allevamenti con oltre 150 capi di bovini e, per equivalenza in termini di emissioni, di 500 maiali o 300 scrofe, e di 10mila galline ovaiole. In questo modo gli esperti della Commissione sperano di includere nella direttiva un numero maggiore di allevamenti rispetto a quelli inclusi nella normativa attuale. Il documento trapelato dimostrerebbe però che i dati utilizzati come base per l'attuale proposta provengono da un'indagine di Eurostat che risale al 2016. Quest'ultima ha fornito informazioni sulle dimensioni e sul numero di aziende agricole nell'Ue, venendo utilizzata come riferimento per la valutazione d'impatto della Commissione.

Divari

Secondo le stime basate su questa indagine la direttiva riguarderebbe il 18% di allevamenti di suini, il 15% di stabilimenti per il pollame e il 10% di fattorie con bovini, comprese quelle per le carni e quelle lattiero-casearie. Il vero costo per il settore sarebbe ben più alto se però i calcoli venissero realizzati in base ai dati più recenti, cioè quelli del 2020, che però va precisato non erano ancora diventati ufficiali al momento dell'elaborazione della proposta. Nel frattempo infatti il numero di allevamenti di tipo intensivo è aumentato moltissimo. In base alle informazioni più recenti, gli allevamenti da reputarsi "industriali" sarebbero triplicati per i suini (61%) e arriverebbero al 58% per gli allevamenti di pollame.

Aumento ben più contenuto per i bovini, che passerebbero al ​12,5%. I ministri dell'Agricoltura dell'Ue spingono quindi affinché la soglia sia fissata a 300 unità di allevamento. In tal caso la misura riguarderebbe il ​​47% degli impianti con suini, il 41% di quelli di pollame e il 3% di quelli bovini. In tal caso nel complesso degli Stati membri la direttiva interesserebbe in media appena il 9% delle aziende agricole. In ogni caso sarebbe un incremento, visto che la direttiva in vigore riguarda adesso un numero estremamente esiguo di aziende zootecniche, pari a circa il 2% di tutte quelle operative nell'Ue.

Concentrazioni

Negli ultimi dieci anni la zootecnia è mutata, in particolare nel settore dei suini e del pollame. Il numero di aziende agricole con bestiame è diminuito drasticamente tra il 2010 e il 2020, proseguendo una lunga tendenza al ribasso. La quota è passata dal 55,7% di tutte le aziende agricole nel 2010 al 44,9% nel 2020. D'altra parte ce ne sono di meno, ma tendono ad essere più grandi, sia a causa dell'aggregazione tra aziende piccole che grazie ad una metodologia migliorata per ridurre i rischi di doppio conteggio degli allevamenti misti.

Per quanto riguarda la densità di bestiame essa si è ridotta. Tra il 2010 e il 2020, la maggior parte dei Paesi dell'Ue l'ha diminuita, con i tassi di riduzione più elevati registrati in Croazia (-36,3%) e Ungheria (-25,6%), mentre le principali eccezioni sono state rilevate in Grecia (+9,0%), Irlanda (+12,4%) e Spagna (+13,0%). Secondo l'Eurostat nel 2020 quasi la metà del patrimonio zootecnico dell'Ue (misurato in unità di bestiame) era costituito da bovini, circa il 30% da suini e circa il 15% da pollame.

Misure rivendicate efficaci

In base all'analisi presentata dalla Dg Ambiente il calcolo erroneo non metterebbe in discussione l'efficacia della misura, anzi. “Le 150 'unità di allevamento' proposte coprono una quota complessivamente più elevata del settore in questione, ma un numero significativamente inferiore di aziende agricole”, sarebbe scritto nel documento. Conservando questa soglia verrebbe quindi coperta una “quota maggiore di emissioni inquinanti” rispetto alla valutazione iniziale, ma al contempo un numero inferiore di aziende agricole. Questo dato secondo i funzionari europei ridurrebbe anche i costi amministrativi necessari all'applicazione e alla verifica delle misure. Più emissioni ridotte e meno aziende da controllare. Altro dato positivo, secondo gli esperti di Bruxelles, deriverebbe dal fatto che la maggiore dimensione media delle aziende agricole interessate aumenterebbe l'efficienza delle misure di contenimento delle emissioni adottate dagli agricoltori. Il rapporto complessivo costi/benefici per la società sarebbe quindi positivo, in base a quanto sostiene la Commissione.

Le proteste

Da notare che, essendo quella sulle emissioni industriali una direttiva, essa prevede un periodo transitorio di due anni prima della sua entrata in vigore. Se pure un accordo venisse siglato nel 2023, la normativa non sarebbe operativa prima del 2025. A quel punto i dati utilizzati per fissare i limiti di soglia avranno quasi un decennio. Le associazioni di categoria non hanno tardato a reagire di fronte all'errore (o strategia?) dei funzionari. "Come è possibile basare le decisioni su un tale errore di calcolo? Questo dimostra, se fosse ancora necessario dimostrarlo, che questi approcci per obiettivi e soglie della strategia Farm to Fork sono soprattutto politici, punitivi e scollegati dalla realtà sul campo", ha scritto in un comunicato la Copa-Cogeca, l'organizzazione che riunisce aziende e cooperative agricole europee. La speranza per loro è che "i responsabili politici dell'Ue" prendano seriamente in considerazione questi nuovi dati e rivalutino la proposta della Commissione". Il prossimo consiglio AgriFish è fissato il 20 marzo e quasi sicuramente la questione rientrerà tra i temi dibattuti dai ministri dell'Agricoltura che si riuniranno nella capitale europea.

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