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Giovedì, 25 Aprile 2024
Fake & Fact

"Tutti i falsi miti su Farm to fork"

Il gruppo ecologista dei Greens in un documento ribalta le tesi di chi vede nel piano della Commissione sull'agricoltura un rischio per la sovranità alimentare e l'occupazione del settore

Il Parlamento europeo ha votato la sua posizione sull'ambiziosa strategia Farm to Fork della Commissione europea che vuole portare l'Europa verso un modello agroalimentare radicalmente nuovo attraverso, tra le altre cose, il dimezzamento dell'uso di pesticidi, la drastica riduzione dei fertilizzanti e la coltivazione di almeno il 25% dei terreni agricoli europei con il metodo biologico.

Contro questa strategia si è schierato un fronte diversificato di organizzazioni dell'agrifood e di lobby legate in qualche modo al settore, capeggiate in particolare dal Copa-Cogeca, l'associazione europea dell'agroalimentare. Secondo questo fronte, il problema di Far to fork non è tanto l'obiettivo generale di un'agricoltura più sostenibile, che anzi appoggiano, ma i target vincolanti che la proposta di Bruxelles fisserebbe e che inciderebbero sulla Pac, ossia sui finanziamenti della politica agricola comune. Per i critici della strategia, spingere il piede sull'acceleratore della transizione ecologica metterebbe a rischio non solo l'occupazione e il reddito degli agricoltori, ma anche la sovranità alimentare dell'Europa, che diventerebbe dipendente dalle importazioni dall'estero anche per beni di prima necessità. A sostegno delle loro tesi, ci sarebbe uno studio del Jrc, il centro di ricerca della Commissione europea. Studio a cui Bruxelles non ha dato molto peso (gli stessi autori sottolineano che si tratta di uno studio parziale e non di una valutazione d'impatto di Farm to fork).

Gli ecologisti vedono invece in Farm to fork una strategia che rivoluzionerebbe la produzione agroalimentare rendendola più sostenibile per l'ambiente, ma anche migliorando la salute della popolazione grazie a cibi più sani e a una riduzione di consumi alimentari considerati dannosi (su tutti la carne), e dando più potere ai piccoli agricoltori riducendo il potere dei grandi gruppi industriali. Il gruppo dei Greens al Parlamento europeo ha pubblicato un articolo che riassume queste posizioni e che, a detta di chi lo ha realizzato, sfaterebbe i falsi miti del fronte anti Farm to fork. Ecco il documento:  

1. I pesticidi sintetici aiutano agarantire redditi più alti agli agricoltori? No

I principali Stati membri agricoli dell’Unione europea (ad eccezione della Spagna) hanno sperimentato una diminuzione significativa del loro reddito lordo medio nel settore agricolo tra il 1997 e il 2017, dal -6% in Germania al -33% in Belgio.

Se confrontiamo il calo del reddito agricolo con la spesa media in pesticidi e fertilizzanti, possiamo vedere chiaramente che l’efficienza economica dell’uso di questi prodotti è diminuita di almeno il 25-27% dal 1995.

Gli agricoltori europei sono bloccati in un circolo vizioso. Spendono sempre più soldi in pesticidi e fertilizzanti nel tentativo di compensare la diminuzione delle loro rese (rispetto alla tendenza media mondiale) quando, in realtà, più usano questi prodotti, più riducono il loro reddito.

2. La riduzione dei pesticidi sintetici minaccia il reddito degli agricoltori? No

Uno studio su 55 colture biologiche – coltivate in cinque continenti per un periodo di 40 anni – ha dimostrato che, nonostante le rese più basse, l’agricoltura biologica era significativamente più redditizia (del 22-35%) di quella convenzionale. Gli agricoltori sono stati in grado di raggiungere mercati di alto valore e hanno ottenuto rapporti di profitto/costi superiori del 20-24% rispetto all’agricoltura convenzionale.

È vero che usare meno pesticidi e fertilizzanti sintetici porta a rendimenti più bassi. È anche vero che il diserbo meccanico richiede un lavoro supplementare. È vero che tutto questo porta a un aumento dei costi per gli agricoltori. Tuttavia, questi costi sono compensati da prezzi più alti sul mercato del biologico. Inoltre, la produzione è molto meno dipendente dai sussidi che nei sistemi agricoli convenzionali.

L’agroecologia ha quindi dimostrato di essere economicamente più efficiente in tutta l’UE, fornendo redditi e occupazione più alti e più stabili. Ridurre i costi (e quindi l’uso di pesticidi di sintesi) e massimizzare il valore è “buon senso agricolo”: ogni euro risparmiato è un euro non speso!

3. La resa è l’unico fattore che influenza il reddito degli agricoltori? No

Il declino dei redditi degli agricoltori è meno legato al livello delle loro rese, cioè alle quantità prodotte, che ai profitti supplementari derivati dalla loro produzione – per esempio dai supermercati – tra il momento in cui lascia il campo e quello in cui raggiunge i nostri piatti.

Il valore della produzione degli agricoltori ha rappresentato meno del 14% del valore finale del nostro cibo nel 2011, e questa quota è in calo. Questo declino è legato al forte aumento del valore a monte e a valle dell’attività agricola nella produzione alimentare. Queste tappe hanno rappresentato l’86% del valore totale nel 2011. Supermercati, gastronomie e negozi di alimentari hanno aumentato la loro quota di valore negli ultimi decenni, rappresentando più del 30% del valore totale nel 2011.

La cosa divertente è che dei guadagni senza precedenti in agricoltura dal 1945 non hanno beneficiato gli agricoltori, ma altri attori della catena alimentare. L’industria agroalimentare e i supermercati ne hanno beneficiato maggiormente, così come i consumatori, la cui quota di bilancio per il cibo ha assunto una tendenza decrescente fino a poco tempo fa.

4. Aumentare la produttività agricola è il modo migliore per combattere la malnutrizione ? No

Negli ultimi anni, le nostre diete sono diventate meno sane, meno equilibrate e meno nutrienti. Consumiamo più cibi lavorati, più carne e più latticini che mai. Il settore dell’allevamento è in piena espansione e l’incentivo economico per evitare lo spreco di cibo sta diventando più debole. Tutto ciò è legato alla nostra ossessione di aumentare le rese agricole. Ma le aziende agricole stanno aumentando la quantità della produzione, non la qualità.

Soprattutto perché la crescita dell’allevamento comporta anche la deforestazione, dato che gli alberi vengono abbattuti per far posto alla produzione di mangime.

Si tratta di un approccio sbagliato appartenente al passato. L’enfasi sulle quantità di produzione, piuttosto che sulla qualità, è nata in risposta all’elevata domanda globale, in un momento in cui l’accesso al cibo era un problema reale. Oggi la maggior parte della malnutrizione nel mondo è dovuta al consumo eccessivo di calorie, piuttosto che alla denutrizione.

5. L’attuale sistema alimentare è una minaccia per gli ecosistemi? Sì

Non è l’unico modo in cui la produzione alimentare minaccia la biodiversità e gli ecosistemi. I fertilizzanti sintetici e l’uso eccessivo di letame di bestiame sono le cause principali dell’inquinamento dell’aria. Durante i periodi di pioggia, le sostanze nutritive in eccesso e i sedimenti provenienti da terreni poco curati si riversano nei fiumi. Le alghe finiscono per coprire la superficie dell’acqua e soffocare la vita acquatica o marina.

Quando le foreste o le zone umide vengono convertite in campi per la produzione di colture, vengono distrutti habitat preziosi per la fauna, le piante e altri organismi. L’agricoltura rappresenta l’80% di tutti i cambiamenti di uso del suolo nel mondo. Tra il 1980 e il 2000, 42 milioni di ettari di foresta pluviale in America Latina sono stati persi per l’allevamento di bestiame, mentre 6 milioni di ettari sono stati persi per le piantagioni di olio di palma nel sud-est asiatico.

6. L’attuale sistema alimentare contribuisce al cambiamento climatico? Sì

Il modo in cui produciamo cibo contribuisce significativamente al cambiamento climatico. Le emissioni di gas a effetto serra dell’agricoltura, la distruzione degli habitat per far crescere le colture e il modo in cui il nostro cibo viene lavorato e trasportato fanno sì che il sistema alimentare sia responsabile di circa il 30% di tutte le emissioni antropogeniche. L’aumento delle temperature globali sta cambiando e spostando gli habitat. Le specie animali sono costrette a spostarsi o ad affrontare l’estinzione.

L’attuale struttura del sistema alimentare contribuisce al cambiamento climatico, che a sua volta lo influenza. Riduce le rese dei raccolti e la qualità nutrizionale in molte aree, aumentando ulteriormente la pressione per intensificare la produzione o per convertire più terreni all’agricoltura. Poiché le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, abbiamo bisogno di ripiantare alberi e foreste per mitigare il cambiamento climatico. Il che porta a un circolo vizioso: la concorrenza per le terre si accresce, il che conduce a un’agricoltura più estesa e intensificata.

7. Esistono dei costi sostenuti nel sistema alimentare attuale? Sì

Diversi fattori contribuiscono a far pesare i costi di produzione sull’ambiente e la società nel suo insieme. Gli incentivi alla produzione, la concorrenza mondiale basata sui prezzi e la lunghezza delle catene di approvvigionamento incoraggiano questo fenomeno che rende il sistema di produzione poco trasparente. Di conseguenza, gli agricoltori e i coltivatori che lavorano per diminuire gli effetti negativi della loro produzione sull’ambiente hanno difficoltà ad essere competitivi sul mercato.

Secondo uno studio commissionato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), se si tiene conto dei costi ambientali dell’agricoltura a livello mondiale, questi superano il valore di mercato dei prodotti alimentari prodotti. Negli Stati Uniti, il costo per la salute umana del solo inquinamento atmosferico dovuto alla produzione agricola rappresenta circa la metà del suo valore.

Nel 2013, la FAO ha stimato che i costi delle cure mediche legate alle cattive abitudini alimentari potrebbero superare il 5% del PIB GDP ogni anno. 

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