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Venerdì, 26 Aprile 2024
L'analisi

Certificazioni dei cibi: aiutano l'ambiente ma sono troppe e c'è rischio 'greenwashing'

Un recente studio ne ha contate ben 198 in tutta l'Ue. Alcune puntano sul biologico, altre sul benessere animale, però la gran parte è attribuita da enti privati

Tante, forse troppe, le etichette che ritroviamo sugli alimenti in ambito agricolo e alimentare. È quanto emerge da un recente studio sulle certificazioni di qualità dei prodotti agricoli e sulle relative pratiche utilizzate nell'Unione europea. I numeri non aiutano: oltre 198 le certificazioni individuate sia negli Stati Mambri che nei Paesi terzi, come il marchio di Denominazione di Origine Protetta (Dop) o quello Haute Valeur Environnementale (Alto valore ambientale - Hve), o il Label Bas-Carbone, centrato sulle emissioni. Si tratta di una varietà che prova a soddisfare interessi specifici, ma che può disorientare sia i consumatori che gli agricoltori che intendono ottenerle.

Dopo averle classificate per tema e campo d'azione, gli esperti hanno valutato il loro contributo agli obiettivi di sostenibilità dell'Ue, per verificarne l'impatto in coerenza con il Green Deal europeo e in particolare con la strategia Farm to Fork. L'eterogeneità delle certificazioni è estrema e non tutte “soddisfano gli obiettivi nella stessa misura”. Mentre alcune si impegnano su vari piani e sono “in grado di fornire un contributo diretto o elevato a quasi tutti gli obiettivi di sostenibilità dell'Ue”, altri programmi hanno una portata inferiore, da uno a tre obiettivi.

La gran parte si concentra sulla gestione delle risorse, la protezione dell'ambiente e il benessere degli animali. Meno di frequente compare espressamente la lotta al cambiamento climatico.  Nella prima categoria, quella ad ampio spettro, rientrano ad esempio Equalitas (Italia), IP Sigill (Svezia) e Naturland (Germania).All'obiettivo specifico del benessere degli animali sono dedicati invece Beter Leven nei Paesi Bassi e l' iniziativa Tierwohl in Germania. 

Con riferimento alla nuova politica agricola comune (Pac), gli esperti hanno notato che le pratiche incluse nelle certificazioni di solito riguardano meno di un quarto delle 22 potenziali pratiche agricole elencate dalla Commissione europea. A coprirne più di un terzo ci sono Naturland (68%), IP Sigill (50%), Beter Leven (41%) e Hve (36%). Ben 170 schemi di certificazione sono stabiliti negli Stati membri, mentre 28 fanno capo a Paesi terzi ma su prodotti che ritroviamo poi sui nostri scaffali. 

Il dato che solleva maggiori perplessità riguarda la circostanza che oltre due terzi sono rilasciati da enti privati, mentre solo un terzo è riconducibile ad enti pubblici. Su questo punto si sono incentrati gli interrogativi degli eurodeputati, cui è stata presentata la ricerca. “Il controllo di queste etichette deve essere garantito. Ma come? Da chi?" ha chiesto l'italiano Herbert Dorfmann del Partito popolare europeo, mentre la deputata spagnola Clara Aguilera García ha citato il rischio che questi marchi finiscano per essere solo marketing per l'azienda “senza alcuna utilità per il consumatore". A tal proposito Tanguy Chever, uno dei tre autori dello studio, ha ribattuto: “Le etichette private non sono solo marketing e pubblicità. È possibile che le etichette siano gestite da organizzazioni professionali e a volte possono andare oltre le regole per l'agricoltura biologica quando le autorità pubbliche non sono disposte a farlo".

Per aiutare i cittadini ad orientarsi l'eurodeputata tedesca Ulrike Müller ha suggerito di identificare i sistemi di certificazione più utilizzati e quelli più promettenti per il raggiungimento degli obiettivi ambientali dell'Ue. Solo le etichette di qualità che risultano gestite a livello nazionale vengono controllate da enti pubblici, come avviene in Francia tramite l'operato dell'Istituto nazionale per l'origine e la qualità (Inao) e la Commissione nazionale per la certificazione ambientale (Cce). Le certificazioni private non rientrano invece in queste verifiche. Per questo motivo, al fine di prevenire il rischio di greenwashing da parte delle aziende, gli autori insistono sulla necessità di una valutazione specifica dei requisiti e dell'attuazione di tali certificazioni.

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