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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Quanto stanno pagando in più gli agricoltori (e i consumatori) a causa della guerra in Ucraina?

Secondo uno studio del Crea, fertilizzanti, gasolio e piantine i costi esplosi. Lombardia ed Emilia Romagna, dove dominano allevamenti e seminativi, le regioni più colpite

L’impennata dei prezzi causata dalla guerra in Ucraina è costata agli agricoltori italiani oltre 9 miliardi di euro. In media ogni azienda agricole ha dovuto spendere 15.700 euro in più del previsto a causa dell'aumento dei costi di materie prime. Il calcolo è stato effettuato dai ricercatori del Consiglio per la ricerca in agricoltura (Crea). L'impatto complessivo tiene conto di sei voci di costo: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi. Lo studio ha preso in considerazione i dati aziendali rilevati dalla rete Rica (Rete d’Informazione Contabile Agricola), gestita dal Crea Politiche e Bioeconomia, che opera come fonte ufficiale dell'Unione Europea e monitora il reddito e le attività delle imprese. L'istituto di ricerca ha rilevato forti differenze, tra i settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica.

Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti (tra il 65 e il 70%), sono le aziende di seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura, su cui incide l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti. A seguire, tra le aziende più colpite ci sono gli allevamenti di bovini da latte (+57%). A livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole, in modo particolare per le aziende marginali. In termini assoluti le aziende italiane potrebbero subire incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro. Questa cifra potrebbe sfiorare i 99.000 euro nelle aziende che allevano granivori. Incrementi più contenuti, sia in termini percentuali che assoluti, si stimano, invece, per le aziende specializzate nella coltivazione di colture arboree agrarie e in quelle zootecniche estensive. I  costi dei fertilizzanti vedono un incremento del +170%, incidendo in media per 4.930 euro in ogni azienda. Subito dietro il gasolio agricolo (+129%), che include sia il carburante per le macchine motrice che il combustibile per gli impianti aziendali, per un ammontare di 3706 euro. Mangimi e sementi sono cresciuti entrambi del 90%. A subire un incremento più controllato ci sono solo i prodotti fitosanitari che si fermano a +15%.

Geografia di una crisi

Lo scenario ipotizzato nello studio stima che in media il 30% delle aziende su base nazionale possa avere un reddito netto (Rn) negativo, mentre prima della crisi era stato registrato un valore pari al 7%. Le regioni che stanno subendo i maggiori danni in termini di reddito netto negativo sono quelle specializzate in zootecnia e seminativi. In cima c'è la Lombardia, con il 49% delle aziende con Rn negativo, seguita dall'Emilia Romagna (41%) e da Friuli Venezia Giulia e Tosacana, entrambe al 38%. Se la cavano meglio le regioni specializzate in frutticoltura (inclusa olivicoltura), viticoltura e zootecnia estensiva. Le aree in cui l'impatto della crisi è meno forte sono la Valle d'Aosta (10% di imprese con Rn negativo), il Trentino (13%), la Calabria (20%) e la Campania (22%).

In definitiva, l’attuale crisi internazionale può determinare in un’azienda agricola su dieci (pari a circa l’11% nella media nazionale) l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo. Di fatto rischiano di essere espulse dal mercato. Questa percentuale, prima della crisi, era del tutto irrilevante, essendo pari all’1% delle aziende monitorate da Rica.

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