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Giovedì, 28 Marzo 2024
Lavoro nei campi

Da dove vengono i lavoratori immigrati che si occupano del nostro cibo

Più di 82mila persone non comunitarie arriveranno per impieghi stagionali col nuovo decreto flussi. Oltre la metà lavorerà nelle campagne

L'agricoltura italiana dipende sempre più da mani "straniere". Tra abbandono delle zone rurali, salari poco attraenti e condizioni di lavoro precarie, la manodopera del Belpaese si è allontanata progressivamente dalle campagne così le aziende agricole fanno sempre più affidamento a lavoratori immigrati per raccolti e altre mansioni. La tendenza viene confermata dal nuovo decreto flussi appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che stabilisce la programmazione degli ingressi dei lavoratori non comunitari.

I numeri

Il dato è in aumento, passando dalle 69.700 persone autorizzate lo scorso anno alle 82.705 del 2023. Una quota che vede oltre la metà ammessa per lavori stagionali nell'agricoltura. Ben 44mila persone arriveranno dunque nelle nostre campagne in maniera legale (duemila in più rispetto al 2022). Di queste 1500 sono riservate alle nuove richieste di "nullaosta stagionale pluriennale", che consentono alle imprese di avere accesso alle autorizzazioni negli anni successivi senza dover sottostare ai termini di pubblicazione del decreto. Nel nostro Paese un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere, con la maggior parte dei lavoratori che provengono da Romania (comunitari), Marocco, India e Albania.

Provenienze globali

Nel complesso le nazionalità sono variegatissime, con ben 164 Paesi diversi rappresentati. Secondo uno studio del Crea basato sui dati Inps del 2017, il 14,8% proviene dall'Europa orientale, a seguire dal NordAfrica (4,6%), dall'Europa meridionale (4,53) e dall'Asia meridionale (4,52%). I 358mila lavoratori impegnati nei campi e negli allevamenti forniscono oltre il 29% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo il Dossier Idos. Alcune aree e coltivazioni sono caratterizzate ormai da tempo dalla presenza di lavoratori immigrati come per la raccolta delle fragole nel Veronese, della frutta in Emilia Romagna e delle mele in Trentino. Gli allevamenti da latte in Lombardia vedono invece come protagonisti gli indiani che hanno sostituito quasi del tutto gli italiani nell'attività di cosiddetti "bergamini", cioè gli allevatori-caseari originariamente installati nella zona.

Mani sfruttate dal caporalato

Nonostante gli ingressi legalizzati, rimane viva la piaga del caporalato, che sfrutta migliaia di persone, soprattutto quelle entrate senza permesso nei nostri confini, approfittando di situazioni di precarietà nonché facendo affidamento alla criminalità organizzata. Ricordiamo in particolare la situazione negli agrumeti in Calabria e quella della raccolta dei pomodori nel foggiano così come in altre aree del Sud Italia. Prime vittime di queste condizioni illegali e malsane sono i lavoratori provenienti da Paesi dell'Africa Sub-sahariana. Secondo il portale StranieriInItalia.it nel 2022 i lavoratori stranieri effettivamente impiegati, sui 69mila previsti, sono stati poco più di 50mila, con 4.200 pareri negativi e duemila rinunce. Ad incidere anche la mancanza di personale all’interno delle Prefetture, che avrebbe rallentato le autorizzazioni anche a causa della necessità di sbrigare al contempo le oltre 200mila pratiche necessarie a far emergere il lavoro nero degli stranieri già presenti in Italia.

Tempo determinato

Tornando alle situazioni di legalità, nella stragrande maggioranza dei casi i contratti prevedono rapporti di lavoro dipendente a tempo determinato (circa l'89-90% secondo i dati dell'Inps del 2017). Questo significa spesso che le persone arrivano dall’estero, attraversando ogni anno il confine per un lavoro stagionale e tornando nel proprio Paese al termine del periodo di raccolto. In molti casi, i dipendenti vengono richiamati annualmente dalle stesse aziende. In base al decreto, prima di assumere lavoratori non comunitari dall’estero il titolare dell'azienda è obbligato a verificare presso il centro per l’impiego competente che non siano disponibili altre persone già presenti sul territorio italiano. Secondo la Coldiretti questa norma rischia di "trasformarsi in un appesantimento burocratico per le imprese costrette a fare i conti nei campi con le esigenze di tempestività imposte dai cambiamenti climatici e dalla stagionalità delle produzioni".

A chi spettano le quote

Dato interessante: la presenza di stranieri cresce anche tra gli imprenditori e non solo nell'ambito dei dipendenti. Sono quasi 17mila i titolari di imprese agricole con nazionalità diversa da quella italiana. Nel decreto alcune quote sono di carattere riservato. Talune spettano ai lavoratori di Paesi con cui entreranno in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria, altre spettano a coloro che abbiano completato programmi di formazione nei Paesi di origine. A farla da padrone sono le quote connesse alle richieste presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro, che si assumono l'impegno di garantire il procedimento di assunzione da parte delle aziende. Questi ingressi riservati alle Associazioni di categoria (come ad esempio Coldiretti, Confagricoltura e Cia – Agricoltori italiani) contano ben 22mila unità, molte di più rispetto alle 14mila concordate in via sperimentale nel 2022. Si tratta ormai di un ruolo fondamentale di "mediazione", quasi al pari di un'agenzia per l'impiego, quello giocato dalla confederazioni agricole.

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