In Francia ristoranti e mense dovranno indicare sui menù l'origine della carne
La norma entrerà in vigore dal primo marzo. Bisognerà segnalare sia il Paese di provenienza che quello di macellazione. Coldiretti: "Misura anche in Italia"
Che sia di pecora, maiale o pollo, i ristoratori francesi dal primo marzo saranno tenuti ad indicare nei loro menù la provenienza della carne. L'obbligo, che dopo l'esplosione del caso “mucca pazza” era già in vigore da circa vent'anni per il manzo, sarà riservato stavolta alle altre tipologie di carni crude, acquistate dalla ristorazione commerciale e collettiva, incluse trattorie, ospedali, mense scolastiche o aziendali. La misura era stata promessa tre anni fa dal ministro dell'agricoltura Julien Denormandie, trovando l'immediato sostegno delle varie sigle che rappresentano la filiera della carne e della macellazione, come Interbev (manzo), Interporc (maiale) e Anvol (pollame).
Filiera macellazione soddisfatta, ristoratori meno
Gli addetti del settore ritengono che questa trasparenza sia essenziale per ridurre il volume della carne importata. A differenza dei supermercati, dove l'origine francese è già abbastanza diffusa diffusa, il 60% del pollame consumato nei ristoranti proviene da Paesi con costi da due a tre volte inferiori, come Brasile o Ucraina. "E questo tasso sale a più dell'80% per i prodotti trasformati", spiega Yann Nédélec, presidente dell'Anvol. L'obbligo desta invece preoccupazione nelle cucine dei ristoratori, convinti che questa norma farà salire, ad esempio, il prezzo del pollo fritto. Secondo alcuni comparti della ristorazione, come le mense scolastiche o le catene dei fast-food, i margini di guadagno sono troppo ridotti per potersi permettere di investire sui prodotti locali. "Trovare una produzione francese che rientri nei costi assegnati sarà probabilmente difficile per le mense, soprattutto perché sono soggette a un budget per i pasti", ha dichiarato a France 3 Philippe Pagniot, un macellaio che lavora con allevatori che forniscono ristoranti scolastici.
Obbligo temporaneo
Nonostante alcune critiche, il ministro dell'Agricoltura difende a spada tratta la misura, che rientra nel quadro più ampio del progetto di sovranità alimentare francese. "Nei Paesi sudamericani usano ancora antibiotici per la crescita, quindi il contributo nutrizionale è diverso e riguarda direttamente il consumatore", ha spiegato Denormandie, sottolineando che “questa 'lotta per la qualità' è sia economica che gastronomica". Nel dettaglio, dovranno essere indicati nei menu il Paese di allevamento e quello di macellazione, sia che si tratti di carne fresca, refrigerata o congelata. Dopo essere stata concordata tramite una negoziazione con la Commissione europea, la nuova norma sarà applicabile per 2 anni, fino al 29 febbraio 2024. L'Ue sta lavorando intanto a una revisione del regolamento a livello europeo, che al momento non richiede sistematicamente la menzione dell'origine dei prodotti alimentari.
L'Italia imiterà la Francia?
La Coldiretti preme affinché una misura del genere venga adottata anche nel nostro Paese. “Si tratta di una misura di trasparenza importante per consumatori e per imprese italiane, che va adottata al più presto anche in Italia dove circa 1/3 della spesa alimentare avviene fuori casa per un importo che nonostante la pandemia ha raggiunto lo scorso anno i 60 miliardi di euro” ha affermato Ettore Prandini, presidente della Coldiretti. Ha inoltre sottolineato che “l’Italia, che è leader nella qualità alimentare, deve essere all’avanguardia nelle normative per la tracciabilità a tavola, come è accaduto sull’obbligo di indicazione di origine per gli alimenti venduti in negozi e supermercati”. Secondo Prandini, la misura andrebbe estesa anche ad altri prodotti, come pesce, formaggi, salumi, nonché a frutta e verdura.