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Venerdì, 29 Marzo 2024
Innovazione

Un batterio potrebbe aiutarci a eliminare le microplastiche dalle acque del pianeta

Secondo i microbiologi una specifica proprietà adesiva di questi organismi sarebbe in grado di immobilizzare e incorporare queste sostanze inquinanti, rendendo facile il loro raccoglimento

Un gruppo di microbiologi avrebbe trovato in un batterio, una strada sostenibile per liberare le falde acquifere dalle microplastiche. Sembra infatti che questi organismi elementari abbiano una specifica proprietà per cui tendono naturalmente a raggrupparsi e ad attaccarsi alle superfici, creando una sostanza adesiva chiamata “biofilm”, visibile, per esempio, quando ci laviamo i denti e ci liberiamo della placca dentale. Ora, riporta il Guardian, i ricercatori dell’Università Politecnica di Hong Kong (PolyU) vorrebbero utilizzare proprio questa proprietà appiccicosa dei per creare reti di microbi simili a nastri in grado di catturare le microplastiche nell'acqua inquinata per formare un composto facilmente recuperabile e riciclabile.

Per farlo il gruppo di ricerca di Lang Liu ha progettato un biofilm, da un batterio chiamato Pseudomonas aeruginosa, in grado di immobilizzare e incorporare le microplastiche che galleggiano nell'acqua. Queste reti microbiche le intrappolano e le raggruppano, facendole affondare sul fondo. Quindi, grazie a un "meccanismo di cattura-rilascio" che utilizza un gene di dispersione del biofilm, i ricercatori possono recuperare le microplastiche dalle trappole batteriche e ritrovarsi con del materiale pronto per il riciclaggio.

Nonostante i risultati di questa ricerca, presentati alla conferenza annuale della Microbiology Society, siano ancora acerbi, secondo gli scienziati questa invenzione potrebbe davvero creare un’alternativa alle microplastiche abbassare i livelli di inquinamento utilizzando una materia prima che si trova in natura, soprattutto perché al momento non esistono modi sostenibili e adatti per eliminarle. "È imperativo sviluppare soluzioni efficaci che intrappolino, raccolgano e persino riciclino queste microplastiche per fermare la plastificazione dei nostri ambienti ", ha affermato Sylvia Lang Liu, ricercatrice di microbiologia presso PolyU e protagonista di questo nuovo progetto.

 "Questa è un'applicazione davvero innovativa ed entusiasmante dell'ingegneria dei biofilm per affrontare la crisi dell'inquinamento da plastica", ha affermato la dottoressa Joanna Sadler, ricercatrice presso l'Università di Edimburgo, che non è stata coinvolta in questo studio. “Una delle maggiori sfide nel trattare le microplastiche è catturare particelle così piccole in modo che possano essere degradate e rimosse dall'ambiente” ha detto Sadler, plaudendo Liu e colleghi che “hanno dimostrato un'elegante soluzione a questo problema". Tuttavia, come si riporta il Guardian, l'esperimento è ancora preliminare poiché stato condotto come prova in un ambiente di laboratorio controllato e non nell'oceano o nelle fogne. Inoltre, è stato condotto con un ceppo di batteri  portatore di malattie per gli esseri umani e probabilmente non utilizzabile in progetti reali su larga scala. Ma i ricercatori sono fiduciosi che il metodo possa essere replicato per trovare batteri naturali che formano biofilm direttamente nelle fognature o in altri ambienti acquosi.

Le microplastiche sono dei frammenti di plastica, solitamente più piccoli di 5 mm, che vengono rilasciati accidentalmente nell'ambiente durante la produzione e la rottura, ad esempio, di sacchetti della spesa o bottiglie d'acqua, ma anche durante le attività quotidiane come il lavaggio di indumenti sintetici o l'uso di prodotti per la cura personale. Sebbene siano minuscoli, il rischio che rappresentano per l'ambiente è enorme. Questo perché le microplastiche non sono facilmente biodegradabili, quindi sopravvivono per lunghi periodi di tempo, assorbendo e accumulando anche sostanze chimiche tossiche. L’altra problematica è che questi frammenti si disperdono nelle acque e negli oceani. A questo punto si crea un circolo vizioso perché la fauna acquatica finisce per ingerire queste sostanze che, poiché gli esseri umani si nutrono di animali marini, alla fine si riversano nella catena alimentare, danneggiano anche nostra salute. Secondo l’Organizzazione marittima internazionale le microplastiche non solo sono state trovate in più di 114 specie acquatiche nel 2018, ma anche nel sale, nella lattuga, nelle mele e in molti altri alimenti.

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