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Giovedì, 28 Marzo 2024
Innovazione

L'Inghilterra potrà presto autorizzare la coltivazione di nuovi Ogm (anche grazie alla Brexit)

Via libera al disegno di legge sul commercio di piante create col genoma editing. Opinioni discordanti tra popolazione e accademici, ma il governo scozzese e gallese restano fedeli all'Ue

La Gran Bretagna sfrutta la Brexit per introdurre la commercializzazione di piante geneticamente modificate. Questo in sintesi il piano presentato dal premier Boris Johnson, che ha reso pubblico il suo Genetic Technology Bill per facilitare la coltivazione e la commercializzazione di nuovi Ogm. Il disegno di legge riguarda in realtà solo le piante il cui genoma è stato modificato localmente (cosiddetto genoma editing), utilizzando delle moderne tecnologie capaci di “attivare” o “disattivare” determinati geni, già presenti nel Dna prelevato. Nella normativa britannica resta invece esclusa la commercializzazione di piante il cui genoma è stato trasformato tramite l'aggiunta di geni provenienti ad esempio da specie completamente diverse. Mentre nel primo caso possiamo parlare di una sorta di “potenziamento genetico”, nel secondo si tratterebbe di una vera e propria modificazione.

Johnson rivendica la circostanza che questa svolta sarà possibile proprio grazie alla fuoriuscita dall'Unione europea, che invece continua a vietare gran parte delle coltivazioni Ogm, anche quando non prevedono l'introduzione di geni estranei alla pianta originale. Bruxelles sembrerebbe in realtà voler intraprendere una nuova strada, sostenuta dalle grande confederazioni agricole e dagli enti di ricerca, ma al momento detta ancora legge una sentenza della Corte di Giustizia europea del 2018, che assimila gli Ogm alle tecniche di genoma editing. "Iniziamo ora a liberare [dai suoi vincoli] lo straordinario settore britannico delle bioscienze, sviluppiamo piante più resistenti che contribuiranno a nutrire il pianeta", aveva annunciato già nel 2019 il primo ministro da poco insediatosi.

Pomodori potenziati con vitamina D

Tra le prime applicazioni in campo, figurano dei pomodori arricchiti con vitamina D, sia nel frutto che nelle foglie. Come annunciato in anteprima pochi giorni fa da AgriFood Today, la rivista Nature Plants ha appena pubblicato gli esiti degli esperimenti, condotti nell'ambito di un progetto internazionale guidato dal John-Innes Centre di Norfolk, uno dei principali laboratori di ricerca botanica in Europa. Secondo i dati, è stato calcolato che una persona su sei nel Regno Unito sia carente di vitamina D, che contribuisce in modo essenziale a rafforzare il tessuto osseo e muscolare, a causa di una insufficiente esposizione ai raggi del sole.

Tramite delle “pinzette molecolari” è stato estratto un enzima presente nelle piante di pomodoro, che di norma converte la provitamina D3 in colesterolo. Alterandolo, gli scienziati hanno bloccato questa trasformazione, facendo sì che la provitamina D3 si accumuli nei frutti e nelle foglie delle piante. Con questi pomodori “potenziati”, si spera di fornire un integratore naturale e completamente vegano.

Rischi e divergenze

L'allentamento delle regole non è stato però accolto da consensi unanimi, prestandosi a valutazioni discordanti. In una consultazione pubblica lanciata dal governo nel 2021, ben l'87% degli intervistati nella comune cittadinanza, nonché il 64% delle aziende, aveva risposto di ritenere l'editing genico un rischio maggiore per la salute umana o per l'ambiente rispetto alle mutazioni che avvengono in maniera naturale. Il Ministero dell'Agricoltura britannico ha però precisato che il 63% delle istituzioni accademiche e l'82% degli enti pubblici interrogati non credono sussista tale rischio più elevato. Altra divisione è quella interna al Regno, con i governi scozzese e gallese che non seguiranno nell'immediato l'esempio del governo Johnson, per cui il disegno di legge si applicherà solo in Inghilterra. Edimburgo e Cardiff in tema di Ogm preferiscono restare allineate con la normativa dell'Ue.

La riforma si innesta in un contesto più ampio, tra cambiamenti climatici, che richiederebbero piante più resistenti e resilienti, e sicurezza alimentare, scossa dalla guerra in Ucraina, che ha privato tanti Paesi di grandi scorte di materie prime, quali grano e oli vegetali. Nonostante in molti temano carestie e una crisi globale, finora le autorità britanniche non hanno adottato misure decise per contrastare le ripercussioni negative del conflitto, come il rischio della chiusura di un terzo di negozi di fish&chips, per i quali scarseggiano olio di girasole ucraino e merluzzo russo. Sul Regno grava una forte dipendenza dalle importazioni, dato che meno della metà degli alimenti consumati nel Paese è prodotta in loco. Di fronte al rischio di perdere la facilità di accesso ad uno dei loro piatti tipici, gli inglesi mostrano le prime inquietudini, senza ricevere risposte chiare dal premier Johnson, finora troppo impegnato a incitare alla guerra e a difendersi dalle accuse legate al noto Partygate.

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