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Martedì, 19 Marzo 2024
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Evitare lo spopolamento in montagna? Si può, coltivando tartufi

Due sorelle spagnole iniettano il "diamante nero" nelle radici di leccio, offrendo servizi di consulenza, ristorazione e formazione a 1.300 metri d'altezza

Coltivare tartufi può essere un business redditizio, visti i prezzi a cui viene venduto il prezioso fungo, ma anche un modo per restare ancorati alla propria terra nelle zone di montagna. È proprio questa la ragione che ha spinto le sorelle Rocío e Nerea Moliner a fondare una piccola azienda votata a iniettare e raccogliere il “diamante nero” tanto ricercato nella gastronomia mondiale. Il loro progetto si è realizzato a Vistabella del Maestrat, un piccolo villaggio di appena 340 abitanti nella Comunità valenciana da cui provengono le due donne. In questa zona, situata a circa 1.300 metri d'altezza, Rocìo ha deciso di tornare dopo la laurea in ingegneria forestale per fondare nel 20121 la Agroforestal de Penyagolosa, la cooperativa specializzata nell'inoculare spore del fungo nelle radici dei lecci localizzati sul secondo massiccio più grande della zona.

Il processo di coltivazione del tartufo prevede in realtà diverse fasi, che iniziano con la raccolta di tartufi autoctoni (carpofori maturi) nella foresta, per poi passare alla selezione dei semi da utilizzare successivamente in laboratorio. "Una volta selezionate le spore, queste vengono iniettate nelle radici dei lecci, che alla fine genereranno le 'micorrize' in un processo simbiotico che darà origine al tartufo", ha spiegato Rocío Moliner all'agenzia iberica di notizie Efeagro. "Ci troviamo a un'altitudine di 1.300 metri sul livello del mare, il clima è molto estremo e i sistemi che utilizziamo sono rigorosamente a pioggia, quindi siamo costretti a produrre solo tre o quattro mesi all'anno" sottolinea l'ingegnere. In questo panorama, è stato necessario cercare soluzioni per raggiungere una maggiore stabilità, basate sulla diversificazione e sulla creazione di sinergie con organizzazioni e produttori della zona.

Le sorelle hanno perciò ideato servizi di consulenza e gestione di piantagioni di tartufi, oltre a realizzare un proprio vivaio dedicato alla produzione e alla commercializzazione di piantine di leccio. In tal modo, la cooperativa riesce ad operare tutto l'anno, incentrandosi anche sulla produzione di alimenti “conditi” col tartufo, come olio e miele, e integrando con attività di formazione, ristorazione e turismo, tramite la cooperativa associata Forest Tuber, nella quale lavorano un totale di cinque persone. Questo progetto è possibile approfittando di un ambiente privilegiato quale il Parco Naturale di Penyagolosa, dove è possibile offrire attività all'aperto, come laboratori naturalistici, esperienze agrituristiche ed escursioni in compagnia di un tartufaio esperto e del suo cane.

Grazie al loro impegno in un contesto affascinante ma complesso, le due sorelle sono riuscite a vincere il primo premio per l'Eccellenza nell'Innovazione delle Donne Rurali nella categoria “attività agricola”, che ha permesso loro di rendere visibile il ruolo delle donne nell'agricoltura biologica secca. Tra le motivazioni che le spingono a proseguire, c'è la volontà di creare opportunità su un territorio che rischia lo spopolamento. "Siamo le uniche imprenditrici sotto i cinquant'anni a Vistabella, perché i giovani studiano e lasciano il paese. Stiamo rivitalizzando e dinamizzando la zona perché abbiamo messo in piedi un progetto che copre molti ambiti: produzione, turismo, giornate di formazione... e questo si riflette nel nostro lavoro" hanno dichiarato le imprenditrici alla rivista Desarrollo rural y sostenibile.

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