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Venerdì, 26 Aprile 2024
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“I miei lombrichi nutrono il suolo in modo naturale, ma la sostenibilità ha bisogno di investimenti”

Parola di Gaia Lombardi, che ha un allevamento in Abruzzo di questa specie, ghiotta di sostanze organiche. Producono un fertilizzante potente, ma non tutte le aziende possono permetterselo

Nella zona del Fucino, negli Abruzzi, Gaia Lombardi alleva lombrichi con cui produce un fertilizzante naturale, perfetto per nutrire il suolo di enzimi e microrganismi. AgriFood l'ha intervistata per comprendere meglio come si evolverà con le nuove norme previste dalla Politica agricola comune, varata dall'Unione europea e che dovrebbe entrare in vigore nel 2023.

Quali vantaggi potrebbe apportare la Politica agricola comune ad un'attività come la sua? E quali sono le difficoltà invece?

Le nuove regole mi avvantaggiano, dato che la Pac chiede di mantenere e ripristinare la sostanza organica, esattamente come già faccio, dato che il prodotto della mia azienda è del tutto naturale, frutto della digestione dei lombrichi. Se osservo con una visione più ampia, pensando ad altri imprenditori agricoli che potrebbero utilizzare il mio prodotto, la normativa appena introdotta comporta costi notevoli, che possono riversarsi proprio sui miei clienti. E con la crisi in Ucraina, i costi si sono raddoppiati. Un macchinario per ridurre gli agrofarmaci costava 18 mila euro fino a pochi mesi fa, mentre oggi si spende il doppio per acquistarlo. Ci sono prodotti come il mio che al momento sono difficili da utilizzare su larga scala. Vanno studiate delle soluzioni affinché delle tecniche agronomiche innovative e sostenibili siano meno costose per le imprese. Occorre un suppporto economico per la transizione richiesta dall'Ue.

Un prodotto come il suo in che modo contribuisce alla sostenibilità ambientale?

Nell'apparato digerente dei lombrichi vengono rilasciati degli enzimi che nutrono il terreno in modo ottimale, senza aggiunta di prodotti chimici e con efficacia maggiore rispetto ad altri prodotti organici. Per farle un esempio, un chilo di questo humus equivale a cinque chili di letame, in termini nutrizionali, e a 20 chili dei residui animali, se consideriamo enzimi e microrganismi. Si tratta insomma di un concentrato di fertilità, utilissimo viste lo stato in cui si trovano molti terreni, impoveriti da eccessivo sfruttamento o dal peggiorare di condizioni climatiche avverse.

Quali sono le aziende già disponibili ad investire nell'humus di lombrichi?

Chi ha delle piccole produzioni di eccellenza propende ad acquistarlo, visto che dà risultati immediati, duraturi e stabili. Negli ultimi tempi mi sono arrivate richieste da coltivatori di avocado e mango in Sicilia, che possono puntare sull'humus, dato che coltivano frutti molto richiesti e ben pagati sul mercato. Diverse richieste arrivano da chi fa viticoltura, dato che i terreni sono più soggetti ad erosione e questo fertilizzante naturale aiuta ad arginare il problema. Inoltre di recente l'humus è utilizzato nel ripristino dei giardini di ville antiche, dato che sono installate piante di grande valore, che necessitano di prodotti di alta qualità come il nostro. In agricoltura intensiva, invece, è impensabile al momento utilizzarlo, perché avrebbe costi troppo elevati.

Pensate di renderlo disponibile anche per questa tipologia di aziende, tenuto conto di tutti i rischi per il suolo connessi alle grandi coltivazioni?

Stiamo studiando soluzioni per rendere più competitivo il prodotto. Ad esempio nutrendo una parte dei lombrichi non solo con letame, come avviene adesso, ma anche con scarti vegetali, che pure aiutano a migliorare la sostanza organica, ma con costi inferiori. Questo significa avere prodotti differenziati, con prezzi diversi, senza però compromettere la qualità.

Lei veniva lavorativamente dal mondo industriale. Cosa l'ha spinta verso l'agricoltura ed in particolare i lombrichi?

Ho lavorato per 25 anni nell'azienda metalmeccanica di famiglia, in qualità di manager, ma la crisi mi ha spinta ad uscire e a cambiare settore. Volevo restare sul territorio del Fucino, dove sono cresciuta e quindi ho vissuto una fase in cui mi interrogavo sul futuro, come stavo facendo una notte, dopo un acquazzone. In giardino ho osservato un lombrico arrancare sul selciato, un po' come facevo io in quel periodo, ma appena l'ho messo nel terreno invece si è ripreso immediatamente, così ho capito che solo se ritrovi le condizioni ideali riesci davvero ad esprimerti. E poi è arrivata l'intuizione di allevarli, grazie a tutti i benefici che apportano al suolo. Dopo aver visitato vari allevamenti all'estero, ho deciso di creare il mio. In questo modo sono riuscita a coniugare il mio amore per la campagna e l'Abruzzo con la mia necessità di riconversione professionale.

Come pensa potrebbe evolvere la sua azienda, in base anche alle misure stanziate dall'Unione europea?

Al momento abbiamo due stabilimenti con milioni di lombrichi installati su lunghe lettiere. Vorremmo ampliare la produzione arrivando a coprire un intero ettaro e aspettiamo escano dei bandi con sussidi specifici, che favoriscano investimenti sia in macchinari più moderni che in attività connesse alla produzione, come ad esempio gli agriturismi.

Tornando alla Pac, come valuta il pacchetto di azioni richieste per favorire la sostenibilità, in base anche ai rapporti coi suoi clienti?

Il cambiamento è necessario, ma va supportato e bisogna capire che in agricoltura ci sono aziende diverse che soddisfano bisogni alternativi. Una serie di operazioni vanno sostenute economicamente per evitare che alcune tipologie di aziende agricole rinuncino a questa riconversione o vi si oppongano. E questo aspetto economico non è affatto banale.

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