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Giovedì, 25 Aprile 2024
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“Con agli, meloni e pomodori siciliani recupero la biodiversità e combatto i cambiamenti climatici”

Intervista a Francesca Simonte, imprenditrice bio, che in provincia di Trapani coltiva varietà locali a bassissimo impatto idrico

Francesca Simonte è un'agricoltrice siciliana e in provincia di Trapani ha recuperato diverse colture tradizionali, come l'aglio di Nubia, il melone Cartucciaru o il pomodoro pizzutello, convertendo al biologico le sue terre. Nell'intervista rilasciata ad AgriFood Today affronta gli ostacoli della nuova Politica agricola comune e di come tutelare la biodiversità tramite la cooperazione. La nuova Pac ha delineato nuovi indirizzi per incrementare la sostenibilità del settore.

Come valuta questo approccio e quali possibilità offre ad un'azienda come la sua?

In linea di principio questo nuovo orientamento è condivisibile, purtroppo però per accedere a certe misure siamo attanagliati da percorsi troppo articolati. È imbarazzante per noi agricoltori, che siamo una categoria paziente ma anche molto immediata nelle soluzioni da trovare. Scontrarci con la burocrazia può essere avvilente, nonostante l'obiettivo sia lodevole. Al di là di questo aspetto, trovo ci siano delle buone misure per i giovani agricoltori, ed anche questo è un motivo che mi sta spingendo a passare presto il testimone ai miei figli, la cui mentalità è forse più adatta alle esigenze della nuova agricoltura, sempre più tecnologica e complessa.

Tra gli obiettivi della nuova Pac c'è quello di ampliare il settore biologico, fino a raggiungere un minimo del 25% di produzione. Per lei che questa conversione l'ha già attuata cosa crede che cambierà?

Sono felice di questa direzione, perché non mi piace far parte di una minoranza e anzi mi auguro si vada ben oltre questa quota perché solo col biologico si può invertire una tendenza che ci sta portando a veri e propri disastri. Ci sono molti sacrifici da affrontare, ma facendolo insieme potrebbe essere più agevole, perché questa Terra è una sola e dobbiamo lasciarla integra per le generazioni a venire. È questo che mi ha spinta a rinunciare a pesticidi e concimi chimici e mi motiva tuttora, nonostante le difficoltà. Al momento, però, sono troppo pochi gli investimenti nella ricerca di alternative organiche ai fitofarmaci. Spesso dobbiamo agire in maniera autonoma per trovare collaborazioni che ci supportino in questo senso e non siamo supportati ai livelli più alti.

Quali forme di cooperazione avete attivato in Sicilia?

Diversi anni fa, partendo da una semplice chat, è nata Simenza, un'associazione legata dalla salvaguardia della biodiversità della nostra isola, che unisce agricoltori, ricercatori, panificatori e tutti coloro che hanno a cuore questo tema. Stiamo recuperando il patrimonio genetico della regione attraverso scambi di semi, che provengono da Trapani, Agrigento, Messina, Catania, ma soprattutto dai tanti piccoli paesi del nostro entroterra, che sono ricchissimi di varietà e che abbiamo riscoperto coi nostri viaggi, come Novara di Sicilia o Montalbano Elicona. Grazie a questa rete, i ricercatori universitari ci hanno aiutati a inserire varietà di grano che prima non erano registrate in un apposito database. Adesso possiamo dichiararle sulle etichette, cosa che prima non era possibile. Da questo punto di vista l'Unione europea dovrebbe sostenere di più i piccoli agricoltori che tutelano queste varietà e non solo quelle utilizzate dall'industria sementiera. L'efficacia del nostro approccio è stata tale da essere riconosciuto anche come un vero e proprio modello in una ricerca dell'Università la Sorbonne di Parigi. Con questa esperienza, del tutto spontanea ed entusiasta, ci siamo resi conto di poter essere insieme gli autentici custodi della biodiversità.

Molti accusano il biologico di non garantire una resa sufficiente, né in termini di quantità che economici. Lei come riesce a coniugare una produzione di nicchia e bio con una sufficiente redditività?

Di sicuro, pur non bastando, ci ha aiutati molto il riconoscimento come presidio da parte di Slow Food, che ci ha offerto una vetrina internazionale senza precedenti e ci ha messi in contatto con un mondo a cui difficilmente avremmo avuto accesso da soli. Quando ho recuperato il melone Cartucciaru , ad esempio, questo lavoro restava marginale e noto solo agli specialisti locali, ma dal momento in cui lo abbiamo portato al Salone del Gusto i riscontri sono stati a vari livelli. Grazie agli incontri fatti lì, siamo entrati in connessione con un'azienda estetica che adesso utilizza i nostri meloni per produrre shampoo. Una possibilità che non avremmo mai immaginato.

La Sicilia è storicamente una terra che soffre di siccità e rischia di andare incontro a problemi sempre maggiori coi cambiamenti climatici. Quali strategie ha messo in atto per affrontare questi problemi?

La scelta di dedicarmi alle coltivazioni autoctone mi offre già delle soluzioni, perché queste varietà si sono adattate nel tempo ad un territorio privo di grandi risorse idriche, mentre i prodotti 'moderni' necessitano di molta più acqua facendo  parte di una catena che li vuole subito grandi e belli. Tranne che per la semina, noi non irrighiamo. Ed è anche per questo motivo che il nostro melone dura più a lungo, recuperando solo quello che c'è nel terreno. Al di là del mio caso specifico, però, devo dire che la gestione dell'acqua in Sicilia è scandalosa, dato che i bacini non sono mai stati collaudati. Questo significa che potremmo immagazzinarne molta di più, come sarebbe potuto avvenire durante quest'inverno molto piovoso, e invece l'abbiamo buttata per noncuranza politica e servizi pessimi. Spero nei nuovi progetti, ma la classe politica dovrebbe sedersi ai tavoli tecnici con gli agricoltori e coordinarsi con loro prima di effettuare spese inutili o decisioni avventate.

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