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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Dall'orto ai campi di calcio. La Fattoria Montepacini coltiva l'alleanza tra disabili e migranti

Nelle Marche, nel comune di Fermo, genitori, volontari e istituzioni pubbliche collaborano in uno spazio agricolo, dove le fragilità non sono un ostacolo ma un valore aggiunto

Un'alleanza tra pubblico e privato, per coltivare l'autonomia di persone con disabilità, dipendenze e fragilità. Questo il progetto della Fattoria Montepacini, realizzato alle porte del Comune di Fermo, nelle Marche, da amministrazione comunale, genitori e volontari, su un'area di 13 ettari. Oggi nella struttura, che include due case coloniche, convivono una cooperativa agricola (gestita da privati), che aiuta le persone in situazioni svantaggiate, e un Centro socio-educativo riabilitativo diurno, di natura istituzionale. La vocazione sociale del sito risale alla metà degli anni '80, quando la fattoria era la sede di una comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti, promossa da don Pierino Gelmini.

Dal 2012, un primo nucleo di genitori e amici di persone con disabilità si attivano per realizzare un primo centro estivo, a cui partecipano oltre trenta bambini. “Non abbiamo promosso un appello generico alla solidarietà, ma abbiamo attivato un percorso di costruzione e di esperienza di inclusione e accoglienza”, sottolinea Marco Marchetti, ex direttore dell'unità operativa del servizio disabili di Fermo e tra i promotori della cooperativa. Nel 2014, il centro educativo e riabilitativo si trasferisce in uno dei due edifici presenti sui terreni, coniugando le attività agricole ai servizi di stampo sociale. “All'inizio abbiamo riscontrato qualche resistenza da parte del personale educativo, poi il nuovo contesto è stato apprezzato da tutti, in particolare dai genitori”, afferma Marco.

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Il processo di recupero dell'attività agricola è stato reso più complesso dallo sfruttamento malsano dei terreni, impoverito da periodi troppo lunghi dedicati a monocolture. Nonostante le difficoltà, il binomio per rigenerare terra e persone ha dato i suoi frutti. “Tramite l'agricoltura, soprattutto i disabili, passano dall'essere oggetto di cura a soggetto che si prende cura dell'altro, dell'orto come degli animali”. Da allora i volontari hanno attivato dei cicli, che coniugano la ricerca realizza ta in fattoria con altre esperienze nazionali di agricoltura sociale. L'associazione originaria si è trasformata da qualche anno in cooperativa di lavoro.

Dal tirocinio al lavoro vero

Nella struttura privata lavorano oggi quattro dipendenti, di cui due richiedenti asilo impiegato come braccianti, mentre altre due persone con fragilità si occupano dell'agriturismo. Ad aiutarli, ci sono otto giovani disabili, che stanno effettuando un tirocinio per apprendere la cura dell'orto, degli animali e della struttura recettiva, che comprende un ristorante e un agriturismo. “Nel centro socio-educativo, la base di aggregazione è legata alla disabilità, mentre in cooperativa c'è la possibilità di un cambiamento radicale, visto che si lavora con circa venti persone, inclusi i volontari. I disabili qui si confrontano con anziani, universitari e volontari del servizio civile, potendo accedere ad un contesto più dinamico”, evidenzia Marco. Gran parte dei tirocinanti provengono da istituti alberghieri della zona. “Abbiamo verificato una grande disponibilità all'apprendimento e un comportamento lavorativo adeguato al ruolo. Per alcuni giovani questo posto è un passaggio cruciale per poter poi lavorare altrove, come accadrà presto con il nostro attuale responsabile della panificazione e dei dolci, che a breve andrà a lavorare in un ristorante-pizzeria”.

L'altro punto di svolta della Fattoria è avvenuto nel 2014, quando tramite la Caritas, Marco viene in contatto con un gruppo di richiedenti asilo provenienti da Mali, Gambia e Costa d'Avorio. Da allora, i primi sei rifugiati sono entrati nella rete della fattoria, dimostrando di sapersi relazionare coi disabili in maniera spontanea e collaborativa. Da qui nasce anche un'esperienza sportiva di calcio integrato, con la formazione di una squadra, la Soccer Dream Montepacini, cui partecipano sia disabili che migranti in un vero campionato di calcio a sette. “In un contesto centrato sulla competitività, abbiamo portato un punto di vista diverso, con la scommessa di dimostrare che è possibile coniugare l'accoglienza delle persone fragili con quella dei migranti”.

Collaborazioni in cucina

La Fattoria Montepacini, come altre realtà di agricoltura sociale, prova a moltiplicare iniziative, per poter sostenere le sue attività. Per diventare sempre più indipendenti dalle donazioni, l'obiettivo è quello di migliorare la resa del comparto dei cereali e dei legumi. Nel frattempo, è nata una bella collaborazione con i cuochi del territorio. “Ho sempre creduto nell'alleanza tra contadini e chef, così come suggeriva Carlo Petrini di Slow Food. In questi anni, è nata una bella amicizia con Aurelio Damiani (già chef stellato oggi in pensione, ndr), che una volta a settimana viene in fattoria a formare dipendenti e tirocinanti, aiutandoli nella creazione del menù”. Pasta fatta in casa, pane con fichi, noci e pecorino fresco, sformatino di cavolfiore con crema di rapa, tra le specialità preparate in un recente menù. In un periodo in cui la competitività e la diffidenza dominano, anche a causa delle distanze determinate dalla pandemia, volontari e operatori della Fattoria Montepacini si ostinano a coltivare rispetto e a seminare collaborazioni, affinché tutti possano raccogliere i frutti dell'orto e di una vita piena.

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