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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Nell'ex manicomio di Aversa una fattoria sociale aiuta ad affrontare il disagio psichico

Si chiama "Fuori di zucca" ed offre terapie all'aria aperta e interventi personalizzati a favore di disabili, ex tossicodipendenti e malati psichiatrici, sfidando la camorra

Hanno trasformato un ex-manicomio in una fattoria dove seminare benessere psicologico e prodotti di qualità. I soci della fattoria sociale “Fuori di zucca” hanno trasformato alcuni spazi dell'Ex Ospedale psichiatrico di Aversa, in provincia di Caserta, in un luogo di incontro tra agricoltura, salute mentale e cura del territorio. In un'area castigata dal dominio dei casalesi e dai disastri della terra dei fuochi, dai primi anni 2000 un gruppo di operatori e operatrici si è impegnato per creare una fattoria, che su circa sette ettari ospita coltivazioni, un piccolo allevamento, un negozietto per la vendita diretta, un agriturismo e un ristorante. La missione principale, però, è quella del recupero e dell'integrazione di persone con disabilità, problemi psichici o un passato nelle tossicodipendenze. Tutte svolgono attività legate alla fattoria, attraverso un progetto terapeutico individualizzato, che vede coinvolti, oltre ai soci della cooperativa, un'equipe di figure professionali coordinate dalla Asl, esperte in sociologia, psicologia o psichiatria.

La natura non giudica

Giuliano Ciano, perito agrario e socio fondatore di Fuori di Zucca, ricostruisce le origini dell'esperienza, quando a fine anni '90, nell'area nord di Napoli, alcuni giovani decidono di dare risposte concrete alle persone che avevano concluso un percorso terapeutico con un'altra cooperativa. In un secondo momento viene individuata l'area dell'Ex-manicomio per realizzare progetti di stampo sociale. “All'inizio abbiamo fatto tutto in modo spontaneo e in base alle nostre esperienze pregresse, con la volontà di rilanciare il nostro territorio”, racconta Giuliano, “Avevamo intuito che le attività all'aperto potevano aiutare queste persone per una ragione molto semplice: la natura non giudica“. Ci si rende conto che le attività della semina, del raccolto, l'opportunità di passare del tempo in collettività, ma anche da soli nei campi, hanno una funzione terapeutica e offrono una metafora forte di riscatto, in particolare alle persone che hanno avuto problemi di tossicodipendenza. In seguito, confrontandosi con altre cooperative, nasce il Forum dell'Agricoltura sociale, dove si definisce una visione politica dell'agricoltura, in cui la produzione di cibo, intesa come diritto, integra diverse funzioni: valorizzazione del territorio, sostenibilità ambientale, salvaguardia delle identità del territorio e giusta retribuzione, per sottrarre i lavoratori al giogo del caporalato. Ne nasce una collaborazione con altre realtà, tra cui diverse operative su beni confiscati alla camorra, che confluiscono nella Nuova Cooperazione Organizzata (Nco). Questo consorzio aiuta persone svantaggiate e valorizza prodotti del territorio, ad esempio con "Un pacco alla camorra", miscelando attività commerciali ad altre no profit.

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Sfuggire alla camorra

La creazione del consorzio ha aiutato a rispondere concretamente a quella stessa criminalità che in passato aveva provato a mettere le mani sulla fattoria stessa. “A colpirci non è stata la violenza classica della minaccia o della pistola, ma abbiamo subito il trauma della trasformazione dei clan in imprenditoria criminale”, racconta Giuliano, ricordando: “Anni fa avevamo ricevuto un avviso di sfratto da parte della Asl di Caserta, scoprendo che l'area in realtà era stata attenzionata da imprenditori legati alla camorra, che intendevano fare speculazione edilizia eliminandoci. Per fortuna, anche grazie alle indagini della magistratura, siamo ancora qui”. In un cerchio paradossale, proprio nella fattoria ha trovato riscatto Paolo, ex manovalanza della criminalità locale, impiegato nello spaccio di droga, che dopo un percorso di lavoro, da sette anni è socio della cooperativa. “All'inizio eravamo timorosi, per via del suo passato, ma Paolo è riuscito davvero a tirarsi fuori dal contesto criminale. Oggi non solo ha uno stipendio onesto, ma ha ritrovato soprattutto la sua famiglia, che mentre era in carcere aveva minacciato di abbandonarlo se non avesse rinunciato ai rapporti con la camorra. La paura di perdere i suoi cari lo ha spinto a 'riconvertirsi' dopo trent'anni di galera”, dichiara Giuliano. Nel campo agricolo gli operatori della fattoria si sono specializzati, per creare un circuito virtuoso. I prodotti dell'orto, insieme a latte e uova bio, vengono in primis venduti nella bottega, poi utilizzati nei piatti del ristorante, e infine trasformati da altre cooperative del circuito per farne barattoli sottolio e sughi pronti, venduti sia tramite e-commerce che rifornendo negozi specializzati. “La nostra scelta è stata quella di stare sul mercato e di reggere questa attività sui soldi privati, quindi ci siamo formati e collaboriamo con esperti, come agronomi e chef, perché il nostro obiettivo è quello di essere scelti per la qualità dei nostri prodotti, non per ragioni di beneficenza”. Questa scelta di autonomia finanziaria è stata però pagata durante la pandemia, quando il fatturato della fattoria è crollato dell'80%.

La Fattoria della Salute

Pur nella diffcoltà, i soci non si sono arresi e hanno anzi maturato nuove idee per aprire ancora più gli spazi alla comunità, aiutando a far interagire bambini con disagi o disabilità con persone anziane e famiglie, cui vengono affidati degli orti sociali. “Durante il lockdown abbiamo capito quanto fosse importante per la fattoria diventare un presidio di comunità, trasformandosi in 'Fattoria della salute'. Adesso ogni giorno vengono qui circa 30 persone, soprattutto bambini autistici”, spiega Giuliano. In questo modo, la fattoria è venuta incontro alle esigenze di famiglie in difficoltà, i cui figli stavano soffrendo ancor più a causa dell'isolamento e della sottrazione di spazi pubblici. “Volevamo evitare di fare di questo posto un 'ghetto', quindi per facilitare la loro integrazione abbiamo aperto un bando per affidare circa due ettari di orti a persone del luogo, con priorità ai pensionati”, chiarisce l'operatore, sottolineando: “In questo modo ragazzi e famiglie si prendono cura dei campi e, al tempo stesso, gli uni degli altri”. L'esperienza di Fuori di zucca prosegue e si evolve, provando a dimostrare nel concreto che un'economia sociale, alternativa a quella criminale e speculativa, non solo è necessaria, ma anche possibile.

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