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Venerdì, 19 Aprile 2024
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“Il peperoncino aiuta a curare il cervello, non solo l'eros"

Enzo Monaco dirige l'Accademia italiana dedicata alla pianta piccante. Sempre più apprezzato in Italia, ma non ne produciamo abbastanza

Il mondo Mediterraneo ha assorbito da diversi Paesi alimenti che poi sono entrati a far parte delle tradizioni locali e nazionali. Tra queste c'è il peperoncino, il cui nome scientifico è Capsicum. In base a ritrovamenti archeologici, si è scoperto che è stato un elemento importante in tutte le civiltà precolombiane Olmeca, Tolteca, Azteca, Inca e Maya. Testimonianze della sua esistenza si ritrovano sia in Messico che in Perù. Presso alcune popolazioni è una pianta ritenuta sacra ed è stata utilizzata anche come moneta di scambio. “Una caratteristica essenziale è la molteplicità”, afferma Enzo Monaco, presidente dell'Accademia italiana del peperoncino di Diamante, in Calabria. questa organizzazione promuove la conoscenza e l'uso della pianta piccante per eccellenza. “Esistono almeno duemila varietà conosciute, ma sospettiamo ce ne siano molte altre non note. In Brasile, poi, ne esistono numerose che non sono coltivate”, sostiene Monaco. Anche l'Accademia, nell'arco di venti anni, ha messo insieme una ricca collezione, che vanta oltre mille varietà.

In Europa il peperoncino è arrivato con Cristoforo Colombo, nel corso dei viaggi per la cosiddetta “scoperta dell’America”. Il navigatore genovese ne viene a conoscenza durante il suo primo viaggio, scrivendone in una relazione di viaggio del 1493. A partire dal secondo viaggio, i collaboratori di Colombo avviano la coltivazione, portando il peperoncino ai Reali di Spagna. Sessanta anni dopo è diffuso in tutta la penisola iberica, come testimoniano gli scritti di Bartolomè de Las Casas, risalenti al 1552. Da Madrid si diffonde nel vecchio continente, compresa l'Italia. Coltivato oggi in tutto il mondo, il peperoncino viene utilizzato in gastronomia, in medicina, per curare la bellezza e per stimolare l’eros. “La seconda caratteristica è la grande facilità di ibridarsi”, sostiene Monaco. Da qui le infinite varianti. Originariamente chiamato dagli indigeni “Axi”, in Europa fu poi chiamato pepe d’India, pepe cornuto, siliquastro. Per secoli il peperoncino resta un ingrediente unicamente popolare, diffuso solo presso i ceti meno abbienti, senza comparire in ricettari né sulle tavole dell'aristocrazia e della borghesia poi. Sono soprattutto i contadini del sud che lo utilizzano per insaporire i loro piatti semplici. La pianta si guadagna così l’appellativo di “spezia dei poveri”.

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Nei tempi moderni la sua diffusione a livello globale è enorme. In Europa il principale consumatore è l'Ungheria, che utilizza in tantissimi piatti la sua variante dolce, nota come Paprika. Esistono poi il Pimiento, diffuso in Spagna, l'Habanero dal Messico, mentre in Italia è apprezzato quello della Calabria, la regione che più ne fa uso in cucina. Oltre ad insaporire, il peperoncino sta svelando qualità anche in altri contesti. “ Altra caratteristica sono i benefici per la salute. Gli studi sulla capseicina (un composto chimico presente, in diverse concentrazioni, nelle piante di peperoncino, ndr) sono iniziati da circa trent'anni" commenta il presidente dell'Accademia, sottolineando: "Le ultime scoperte ci dicono che potrebbe essere un importante antitumorale. Inoltre, è uno dei principali concentrati di vitamina C esistente in natura”.

L'Accademia organizza ogni anno il Peperoncino festival, arrivato alla trentesima edizione, per far discutere e confrontare appassionati, chef, accademici e curiosi. “Organizziamo sempre una serie di convegni medici”, precisa Monaco, che aggiunge: “Quello della scorsa edizione era dedicato a peperoncino e cervello, cui hanno partecipato docenti dell'Università di Napoli. Ci hanno illustrato come questo alimento possa essere utile in alcune patologie cerebrali”. Nel nostro Paese è coltivato principalmente in Calabria, Basilicata e Campania, ma vi sono aziende dedicate anche in Puglia, Lazio e Toscana. Rispetto ai consumi, la produzione italiana costituisce però una parte irrisoria, dato che oltre il 70% viene importato, soprattutto da Turchia, India, Israele e Malawi. I costi in questi Paesi sono di gran lunga inferiori, ma l'Accademia sta spingendo per una filiera corta, che supporti le relazioni tra agricoltori locali e industria della trasformazione, dato che una gran parte di quello in polvere finisce in salumi, formaggi e sughi pronti.

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