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Giovedì, 25 Aprile 2024
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“Produciamo il nostro olio, rigenerando la terra e le relazioni per combattere xylella e pregiudizi”

In un bene confiscato alla mafia, un'azienda dell'Alto Salento coltiva 50 ettari, tra ulivi, uova e orti comuni, per favorire l'inserimento lavorativo di persone spesso escluse dalla società

Hanno fatto dell'olio un vero e proprio Manifesto del rapporto con la loro terra: la Puglia. Nell'Alto Salento, un gruppo di giovani ha preso in gestione un bene confiscato alle mafie trasformandolo in “Xfarm - Agricoltura prossima”, un'azienda agricola che ha come priorità il benessere sociale e il miglioramento dell'ecosistema. Non lontano dal comune di San Vito dei Normanni, su 50 ettari sottratti all'illegalità, oggi convivono ulivi, uova, vigne e prodotti dell'orto, ma soprattutto una piccola comunità di 15 persone, tra uomini, donne, italiani, migranti, che hanno deciso di collaborare per innovare e trasformare la terra, nei simboli come nei prodotti.

Le origini della storia risalgono al 2014, quando due economisti e un sociologo decidono di formare la cooperativa sociale “Qualcosa di diverso”, impegnata in progetti di inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Poi il salto nel vuoto, con la partecipazione ad un bando pubblico per la gestione di un'azienda agricola, confiscata alle mafie locali, ma rimasta abbandonata per oltre un decennio. Privi di una formazione specifica, i soci si sono dovuti misurare con gli ostacoli di un settore per loro ignoto. “All'inizio confesso che abbiamo avuto tantissime difficoltà. Poi abbiamo capito che la natura comanda e che noi possiamo solo seguire le sue decisioni con rispetto”, ammette Marco Notarnicola, economista e co-fondatore di Xfarm. Ma perché lanciarsi in un ambito così distante dalla loro formazione? “Volevamo lanciare un messaggio forte al territorio, perché questa azienda rappresentava non solo l'illegalità, ma anche una modalità diffusa di fare agricoltura, che distrugge i suoli con la chimica e sfrutta coloro che ci lavorano”, spiega Marco.

Manifesto per un olio

A guidare i soci sin dai primi passi c'è una coppia albanese, Dylaver e Burbuqe Dushku, che avevano alle spalle una lunga esperienza nell'agricoltura sia nel loro Paese che in Puglia. Grazie a un “patto di fiducia” con questa famiglia, che ha messo le basi per l'attività produttiva, gli altri soci si sono fatti carico di un approccio più sperimentale, adottando le pratiche dell'agricoltura rigenerativa, che mira a rigenerare suolo ed ecosistema. “L'inesperienza è stata anche un vantaggio, perché ci ha permesso di guardare con occhi diversi alle pratiche abituali del territorio”, spiega Marco, proseguendo: “Questa lente critica ci ha aiutati ad individuare quali elementi fossero i sintomi dell'incapacità di generare valore aggiunto nella gestione del lavoro, così come nel prodotto dell'olio extravergine”.

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I soci si sono resi conto, ad esempio, dell'abitudine di raccogliere le olive una volta cascate dall'albero, cioè quando sono ormai molto mature e tendono ad ossidarsi. Caratterizzato da un gusto più dolce, l'olio pugliese viene spesso considerato di minor qualità, perché privo di alcune caratteristiche, come l'amaro e il piccante, tipiche di oli di maggior pregio. Da qui l'idea di anticipare la raccolta delle 12mila piante d'ulivo, trattate in modo biologico, mentre il processo in frantoio avviene entro le 24 ore dalla raccolta, per evitare fermentazioni e ossidazioni. Il nome “Manifesto” intende appunto ricordare che questo prodotto incarna i principi di un olio che aspira a distinguersi dagli altri, nel processo come nel gusto.

Liberi, ma razionali

Altro fronte importante è quello del sociale. Diverse sono le iniziative volte a facilitare l'inserimento lavorativo di persone con percorsi psichiatrici, ex tossicodipendenti o detenuti. Al tempo stesso, si è cercato di creare opportunità per ragazze e ragazzi, che pur non appartenendo a categorie svantaggiate riconosciute dalla legge, si ritrovano comunque in situazioni di disoccupazione e disagio. Ad esempio, al progetto Hasta l'huevo, un allevamento avicolo nell'ulivo, cofinanziato dalla Fondazione con il Sud, hanno partecipato persone provenienti dal centro diurno di salute mentale di Latiano (un comune limitrofo). Gli utenti sono già impegnati in attività di segreteria, pulizia e giardinaggio nella sede, ma Xfarm ha aperto loro un'altra finestra di vita. “Abbiamo offerto loro la possibilità di lavorare all'esterno del centro, in un luogo meno 'protetto', ma dove potevano sperimentare fino in fondo l'autonomia”. Due di loro sono stati assunti.

L'allevamento avicolo è peculiare anche perché le galline pascolano libere nell'uliveto ma in modo 'razionale'. “Periodicamente, grazie a dei pollai mobili, diamo alle galline un'area diversa in cui potersi muovere, in modo da controllare le infestanti ed evitare una concimazione eccessiva solo per alcune piante”, spiega Notarnicola. L'aspetto sociale ha investito anche altre attività, per scardinare pregiudizi e comportamenti diffusi, su un territorio dove la piaga del caporalato distrugge le vite di migliaia di giovani, soprattutto nordafricani. “Abbiamo assunto due ragazzi, provenienti dal circuito dell'accoglienza dei migranti, mentre da qualche mese collaboriamo con l'Ufficio pene esterne al carcere. Inoltre c'è una persona che sta scontando la sua pena, realizzando da noi attività di volontariato”, racconta l'economista.

Orti comuni

Il fronte sociale di Xfarm è ampio e cerca di radicarsi nel territorio, come nel caso degli orti comuni. “Ci siamo ispirati al modello delle Comunità a supporto dell'agricoltura (Csa), già sperimentate altrove, che provano a costruire un legame di co-produzione del cibo”, spiega Marco, proseguendo: "I partecipanti scelgono quali alimenti coltivare, condividendo le spese. Il piano di gestione al momento è deciso da 7 famiglie, che oltre alle riunioni partecipano anche a momenti pratici, come la piantumazione, o ad iniziative di divulgazione. Settimanalmente vengono poi distribuite le cassette con frutta, verdura e uova". La filosofia e la molteplicità delle attività di Xfarm ha permesso di attrarre diversi profili. Oggi nell'azienda lavorano 15 persone che provengono da formazioni diverse come filosofia, comunicazione, ecologia. “Questa varietà ci permette di occuparci non solo di produzione di cibo, ma anche di aspetti sociali e di comunità come pure di produrre eventi come nel caso del nostro campo estivo, ricco di laboratori e incontri”.

La nuova sfida è quella che vedrà la trasformazione di 5 ettari di uliveto, coltivato in modo intensivo, trasformarsi in un sistema agro-forestale, in cui coesistono varie specie. Oltre ai 500 ulivi che resteranno, verranno coltivati alberi da frutto, come fichi, gelsi, corbezzoli e melograni, insieme a piante boschive come querce e carrube. “Stiamo sperimentando per costruire un'alternativa ai siti colpiti da xylella, un patogeno che ha potuto diffondersi rapidamente in Puglia, perché ha trovato terreno fertile in un sistema basato sulla monocoltura di ulivi. Questa produzione intensiva non fa altro che consumare suoli e risorse, senza venire incontro alle più ampie esigenze del territorio”. L'idea di ampliare il proprio orizzonte è continua. Xfarm aspira a trasformare l'area in un vero e proprio Parco, in cui le attività produttive convivano sempre più con quelle di formazione e sensibilizzazione. Per i progetti nuovi come per quelli originari la bussola rimane la stessa: credere nella resilienza, sia dell'ecosistema che della società.

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