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Domenica, 28 Aprile 2024
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Mangiare carne processata potrebbe far aumentare il rischio di demenza

È l'ipotesi sollevata da uno studio dell'università inglese di Leeds, che però richiede ulteriori approfondimenti

La carne sembra essere la protagonista di molte controversie al giorno d’oggi. Si discute sull’impatto degli allevamenti intesivi sul pianeta, ma anche dell'eticità della loro stessa esistenza per il modo in cui vengono trattati gli animali. Dal punto di vista della salute il suo consumo eccessivo è stato associato all'insorgenza tumori e ora un altro studio solleva preoccupazioni sulla salute umana. Secondo una recente ricerca mangiare carne processata, come prosciutto, salame e altro, potrebbe aumentare il rischio di demenza. I ricercatori hanno scoperto che il consumo di una porzione di 25 grammi di carne lavorata al giorno, all'incirca equivalente ad una fetta di pancetta, è associato ad un rischio maggiore del 44 per cento di una diagnosi di demenza. Secondo gli studiosi questo sarebbe il primo studio sull’argomento ad aver trovato un legame tra tipi e quantità di carne specifici e il rischio di sviluppare la malattia. Huifeng Zhang, dell'Università di Leeds, che ha guidato la ricerca, ha detto che "in tutto il mondo, la demenza è in aumento e la dieta potrebbe avere un ruolo importante”

Lo studio

L'analisi, pubblicata sull'American Journal of Clinical Nutrition, ha esaminato 500mila adulti britannici, con un'età media di circa 57 anni, che avevano aderito al progetto Biobank. Di questo gruppo, circa 2.900 hanno sviluppato la demenza negli otto anni coperti dallo studio. Gli scienziati hanno cercato di prendere in considerazione molti fattori durante l’indagine, tra cui la presenza del gene Apoe, che è fortemente associato alla demenza, così come lo status economico e i livelli di esercizio. Ma, come spiega il Times, può essere che le persone che mangiano molta carne processata abbiano molte abitudini che li rendono vulnerabili alla demenza, ma che i ricercatori non sono stati in grado di valutare. Inoltre, le persone con più probabilità di sviluppare la demenza erano spesso più anziane, più economicamente svantaggiate, meno istruite, più propense a fumare e meno fisicamente attive. La professoressa Janet Cade, che ha supervisionato la ricerca, ha sottolineato che “questo studio è semplicemente un primo passo. Non stiamo confermando nulla qui, stiamo solamente generando un'ipotesi”. Cade ha aggiunto che il loro obiettivo è quello di “dimostrare che la ricerca sull'assunzione di nutrienti alimentari in relazione al rischio di demenza ha bisogno di ulteriore sviluppo”.

I limiti

Tuttavia, secondo Clive Ballard, esperto di medicina presso l'Università di Exeter, lo studio ha una grande debolezza: è stato esaminato un numero relativamente piccolo di persone. "Anche se questa ricerca sarà importante quando saremo in grado di combinare i risultati di molteplici studi, in questo specifico caso, data dimensione ridotta della ricerca non dovremmo assolutamente sovra interpretare i risultati", ha detto Ballard. Secondo Robert Howard, professore di psichiatria alla Ucl, nonostante gli autori dell’indagine abbiano “tentato di considerare anche altri fattori, non potranno mai verificarli completamente”. Howard ha aggiunte che come medico che lavora clinicamente con persone affette da demenza e conduce ricerche sui trattamenti “questi dati non mi convincerebbero a rinunciare alla pancetta a colazione".

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