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Sabato, 27 Aprile 2024
La sfida

Il peperoncino della discordia: "Brevetto imposto su una pianta che esiste già"

Il colosso cinese Syngenta accusato di aver messo le mani su una varietà già coltivata in Giamaica. L'Epo dà ragione all'azienda, ma per gli attivisti si tratta di biopirateria

I big dell'agrochimica vincono e assestano un altro colpo nel campo della brevettabilità di piante e sementi. La sede dello scontro è stato l'Ufficio europeo dei brevetti (Epo), che alla fine della scorsa settimana ha respinto un'opposizione presentata contro un brevetto detenuto da Syngenta, colosso cinese con sede in Svizzera, relativo a peperoncini dolci e piccanti resistenti alla mosca bianca. L'opposizione era stata presentata da una coalizione estremamente ampia di associazione, facenti capo a ben 27 Paesi diversi e riunite nell'alleanza No patents on seeds! (Nessun brevetto sui semi!). Il caso va avanti da almeno un decennio e ha visto la mobilitazione di Ong, attivisti ed europarlamentari che sin dal 2013, anno di concessione dell'esclusiva, avevano contestato la validità dello stesso reputando che non ci fosse 'invenzione' da parte degli esperti della multinazionale. Sarebbero state in realtà sfruttate le qualità già presenti un un peperoncino originario della Giamaica.

La pratica di brevettare semi, piante e tutto il materiale biologico derivato è sempre più diffuso e, secondo numerosi esperti, pone diversi problemi: innanzitutto la concentrazione in pochissime mani del mercato delle sementi, inoltre l'ostacolo all'innovazione, infine un rischio per la sicurezza alimentare. Simon Degelo, rappresentante di Swiss Aid e membro della coalizione No patents on seeds!, interpellato da AgriFood Today ha commentato così la decisione: "I brevetti come quello discusso oggi permettono di rivendicare la proprietà intellettuale su tratti naturali e piante provenienti dalla selezione convenzionale. Questo è molto problematico per i piccoli allevatori, gli agricoltori e i sistemi alimentari nel loro complesso". La revoca del brevetto secondo Degelo avrebbe fornito un segnale forte, onde evitare l'assegnazione di esclusive riguardanti piante prodotte attraverso processi essenzialmente biologici. Il segnale però non è arrivato.

Resistenza ai parassiti

L'azienda agrochimica Syngenta rivendica nel 2013 di aver "inventato" un peperoncino (Capsicuum annuum) caratterizzato da resistenza ai parassiti, nello specifico alle infestazioni di mosche bianche. Questi insetti sono reputati molto pericolosi perché possono succhiare la linfa delle piante, causando gravi perdite di raccolto. Il brevetto oltre alle piante copre anche i loro semi e frutti, i metodi di produzione e il loro utilizzo, nonché l'identificazione del "tratto di resistenza agli insetti". Legalmente vincolante in molti Paesi europei, questo significa che altri agricoltori non sono più autorizzati a utilizzare liberamente i semi di questi peperoncini nelle proprie coltivazioni. "Questo brevetto rende quasi impossibile per qualsiasi altro selezionatore di sviluppare nuove varietà di capsicuum resistenti alla mosca bianca senza rientrare nel brevetto", ha sottolineato Degelo.

Descrizione rudimentale

Secondo i ricorrenti quella di Syngenta non può essere riconosciuta come un'invenzione brevettabile perché la resistenza specifica da loro descritta sarebbe semplicemente il risultato di un incrocio tra una varietà selvatica giamaicana ed una pianta di peperoncino commerciale. Nel corso dell'audizione orale dell'Epo, a cui AgriFood ha assistito online, gli esperti scientifici interpellati dall'opposizione hanno definito "rudimentale" la descrizione offerta dal gigante dell'agrochimica. Secondo Michel Haring, docente presso la facoltà di Scienze dell'Università di Amsterdam, non ci sarebbe nessun legame tra la pianta e i Qtl (quantitative trait locus – tratto quantitativo) descritti dall'azienda. Il Qtl è una regione di Dna associata ad un particolare carattere quantitativo, come ad esempio l'altezza di una pianta, ed è strettamente associato ad un gene che determina il carattere fenotipico in questione o partecipa nella sua determinazione. Un'analisi Qtl è fondamentale per stabilire se l'operato dei ricercatore sul Dna di una pianta abbia effettivamente inciso o meno su un determinato carattere della stessa.

Decisione mutata

Haring ha sostenuto inoltre che il documento presentato da Syngenta non sarebbe altro che "una descrizione di un processo di coltivazione" consistente in una mera "osservazione visiva del processo". In sostanza gli addetti della multinazionale si sarebbero limitati a sfruttare qualità già presenti in una pianta coltivata da tempo. In un primo momento nel corso dell'audizione l'Epo aveva stabilito che 11 delle 12 rivendicazioni del brevetto non fossero valide, concedendo poi agli avvocati di Syngenta di riformulare la difesa per "salvare" il brevetto. Dopo un pomeriggio di rilanci di documenti e discussioni è infine arrivata la decisione che conferma la validità della paternità rivendicata dalla multinazionale. Per conoscere le motivazioni nel dettaglio sarà necessario attendere circa un mese dalla pronuncia.

Ostacoli alla selezione genetica

L'interpretazione della legge sui brevetti da parte dell'Epo è mutata più volte negli ultimi anni. Questa condizione, criticano gli oppositori, ha esposto molti coltivatori a una notevole incertezza giuridica, ostacolando peraltro la selezione di nuove varietà. "Dopo anni di incertezza giuridica, il miglioramento genetico delle piante continuerà ad essere ostacolato da questo brevetto che non avrebbe mai dovuto essere concesso", ha commentato Christoph Then in qualità di portavoce dell'alleanza contro i brevetti sui semi. La coalizione reputa questo tipo di privativa una vera e propria violazione delle regole internazionali per prevenire la biopirateria, cioè la pratica di "rubare" piante, semi e frutti, soprattutto dai popoli indigeni, per poi sfruttarle a livello commerciale nei Paesi occidentali. Questa appropriazione o utilizzo abusivo di materiale biologico, in particolare di specie vegetali endemiche di Paesi in via di sviluppo, è realizzato in maniera sistematica dalle multinazionali operative nei settori dell'agricoltura, dei medicinali o dei cosmetici. La questione quindi è ben più ampia.

Oltre il peperoncino

"Non si tratta semplicemente di un singolo brevetto sul peperoncino. Solo nel dicembre 2022 sono stati concessi almeno altri quattro brevetti europei su piante allevate in modo convenzionale", ha dichiarato Then, precisando che "questi brevetti rivendicano specie di orzo, meloni, pomodori e persino denti di leone". L'alleanza chiede a gran voce alla politica di agire immediatamente per fermare "questa svendita dei nostri mezzi di sussistenza!". Per anni Ong, alcune associazioni di allevatori e agricoltori, come pure europarlamentari di vari schieramenti politici si sono opposti alla concessione dell'esclusiva a Syngenta. Nell'aprile 2020 la Commissione allargata di ricorso dell'Ufficio europeo dei brevetti ha risposto alle pressioni, adottando una decisione storica: che le piante e gli animali provenienti da processi di coltivazione "essenzialmente biologici" non sono brevettabili. Anche la Commissione europea si è espressa nella stessa direzione, ma le maglie per definire cosa sia invenzione e cosa no si sono talmente allargate che sembra mancare al momento un'attuazione rigorosa di tale chiarimento.

Esclusive dall'orzo alla birra

Secondo gli oppositori, sebbene i brevetti sull'ibridazione convenzionale siano vietati in Europa, le grandi aziende agrochimiche come Syngenta e Bayer, ma anche giganti dell'alimentazione come Carlsberg, ricorrono a un "semplice trucco": rivendicano tutti gli usi di varianti genetiche che si evolvono casualmente per l'ulteriore ibridazione, nonché tutte le piante derivate. In particolare viene citato come esempio un recente brevetto concesso alla Carlsberg sull'orzo, il quale rivendica anche tutte le piante che ereditano una variante genetica casuale, la cosiddetta mutagenesi casuale. In questo modo il brevetto finisce col coprire non solo le piante, ma anche i cereali e il malto, oltre a tutti i mangimi, gli alimenti e i processi per la produzione di bevande che possono essere prodotte dall'orzo.

Interpretazione politica

Questi brevetti così estesi bloccherebbero l'accesso alla biodiversità necessaria a tutti gli agricoltori e sperimentatori per coltivare nuove varietà, così come avviene da millenni. Al momento però l'interpretazione sia politica che giuridica sui brevetti non sembra favorevole a chi vuole un'innovazione libera da restrizioni privatistiche. Oltre all'interpretazione dell'Epo, molti enti di ricerca, italiani inclusi, nonché confederazioni agricole vedono nei brevetti una strada efficace per proteggere il lavoro dei ricercatori mirato alla protezione da parassiti, cambiamenti climatici ed altri potenziali pericoli per i raccolti. C'è chi però sul merito sta adottando una posizione diversa, come l'Associazione tedesca dei coltivatori di piante (Bdp) che in un recente documento ha messo in guardia contro questi strumenti.

Limiti ai biobrevetti

L'organizzazione ha chiesto il divieto di brevettare le predisposizioni genetiche che possono verificarsi in maniera naturale. "I biobrevetti non devono impedire l'accesso al materiale biologico", si legge in una nota diffusa da Bdp, che precisa come "la protezione dei brevetti non deve compromettere la protezione delle varietà vegetali", sostenendo che "il materiale biologico che si trova o potrebbe trovarsi anche in natura non deve essere brevettato". L'associazione si dice preoccupata dalla crescente pratica di brevettazione nel campo dei caratteri vegetali e dei moderni metodi di editing del genoma. Per questo motivo ha chiesto che il diritto di accesso al materiale biologico venga garantito in modo giuridicamente vincolante il prima possibile. "Gli uffici brevetti devono esaminare accuratamente le domande di brevetto per garantire che non vengano concessi brevetti troppo ampi", si legge infine nella nota diffusa. Un suggerimento a cui l'Epo è risultato essere finora sordo.

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