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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cibo ed energia

L'Eni investe in biocarburanti in Africa e punta a triplicarne la produzione

Vuole coinvolgere circa 700mila agricoltori entro il 2026, tramite accordi siglati con Paesi in via di sviluppo. Potrebbe essere pericoloso per la sicurezza alimentare

Coinvolgere oltre 700 mila agricoltori africani nei prossimi tre anni, non per produrre cibo ma energia. Questi i programmi annunciati ad inizio giugno dall'Eni. La società italiana punta a triplicare la produzione di biocarburanti nel continente africano e, in misura minore, in quello asiatico. L'obiettivo è di produrre da sola circa un quinto delle materie prime agricole di cui avrà bisogno per il business dei biocarburanti entro il 2025. I massimi dirigenti del gruppo energetico tricolore scommettono sulla crescente domanda di carburanti a base di olio vegetale, olio da cucina usato e grasso. Tutti elementi che secondo le compagnie del settore svolgeranno nei prossimi anni un ruolo chiave per de-carbonizzare i settori "pesanti" dei trasporti, come camion, aerei e spedizioni.

Domanda in aumento

Secondo gli analisti di Barclays, entro la fine del decennio la domanda globale di biocarburanti triplicherà raggiungendo i 30 milioni di tonnellate. Per questo motivo Eni sta aumentando la sua capacità di bio-raffinazione. Al contempo punta ad espandere le iniziative agricole necessarie a garantire gli approvvigionamenti, provando anche a ridurre il rischio di un'eccessiva volatilità nel mercato delle materie prime, come avvenuto ad esempio nell'agro-alimentare al momento dello scoppio della guerra in Ucraina. "Il nostro obiettivo è coprire il 20% della (nostra) produzione di biocarburanti con materie prime provenienti dal nostro agrobusiness entro il 2025, che è una soglia rilevante dal momento che abbiamo aumentato i nostri target di produzione", ha detto all'agenzia Reuters Giuseppe Ricci, a capo del settore Energy Evolution di Eni.

Le dichiarazioni fanno seguito a quelle di febbraio scorso, quando la società energetica aveva stimato di voler passare dagli 1,1 milioni di tonnellate all'anno di capacità di bio-raffinazione attuale ad oltre 3 milioni di tonnellate entro il 2025. Oltre 5 milioni di tonnellate invece è l'obiettivo entro il 2030. Per raggiungere questi target Eni ha messo nel mirino i Paesi in via di sviluppo, siglando accordi con diversi Stati, quali con Angola, Benin, Repubblica del Congo, Guinea Bissau, Kenya, Costa d'Avorio, Mozambico, Ruanda e Vietnam. I governi locali dovranno aiutare la società italiana ad identificare terreni "degradati", con lo scopo di convincere gli agricoltori a smettere di coltivare colture "non competitive" all'interno della filiera alimentare. Le previsioni stimano il coinvolgimento di circa 700mila agricoltori nelle attività di Eni entro il 2026 grazie agli accordi siglati. "Abbiamo pool di agricoltori locali che coltivano per noi... prendiamo i semi, li spremiamo e portiamo l'olio alle nostre bioraffinerie", ha dichiarato Guido Brusco, a capo del dipartimento Eni Natural Resources. Anche scarti e residui agroindustriali permettono di ottenere l'olio destinato alle bio-raffinerie. La società sta realizzando studi di fattibilità anche in Italia e Kazakhstan.

Nuovi impianti

Il colosso dell'energia afferma che i biocarburanti possono ridurre le emissioni nette di gas serra dal 65% al ​​90% rispetto ai combustibili fossili. Le variazioni dipendono dal tipo di materia prima e del processo produttivo utilizzato. Eni ha in funzione già due bioraffinerie in Italia, ma potrebbe aggiungerne una terza in Toscana, per la precisione a Livorno, in base a quanto affermato da Ricci. Si stanno valutando anche investimenti per nuovi impianti negli Stati Uniti e in Malesia. La questione dei biocarburanti è molto delicata, se la si rende rende una fonte energetica prioritaria e non residuale. Diversi esperti sostengono che investimenti massicci come quelli programmati da Eni possano far deviare gli impegni degli agricoltori dalla produzione di alimenti, utili in primis alle popolazioni locali, a quella di energia, che è una priorità soprattutto per i Paesi dal Pil più elevato. Sia la Fao che l'Unione europea hanno messo in guardia da investimenti troppo spinti in questo settore, che potrebbero aggravare la crisi alimentare in atto. Le Ong mettono inoltre in guardia sull'effettiva impronta verde. Secondo alcuni studi inquinerebbero tre volte più del diesel.

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