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Venerdì, 26 Aprile 2024
Chicchi amari

Che gusto avrà il caffè che berremo in futuro (c'entra anche la siccità)

Il clima torrido mette a rischio gli alberi di Arabica, la tipologia di chicchi più diffusa. Produttori e scienziati stanno sperimentando una specie più "difficile": la liberica

Più tosto e amaro. Sembra essere questo il futuro del caffè, a causa di una siccità prepotente e che non accenna a frenare. Dalle piantagioni dell'Africa occidentale arrivano pessime notizie per i preziosi chicchi di una bevanda che si è diffusa a dismisura negli ultimi anni. I consumatori rischiano però di ritrovare presto in tazzina un sapore molto diverso da quello assaggiato comunemente finora. L'arabica, la tipologia di chicchi più diffusa, risente troppo dei cambiamenti climatici e già adesso non riesce a soddisfare la richiesta globale. Al suo posto potrebbe imporsi la "liberica", una pianta dal chicco più duro e difficile da lavorare, ma che sembra adattarsi meglio al clima rovente.

Mancano le piogge

A fornire maggiori dettagli su quello che potrebbe diventare un trend globale è la Bbc, che da Londra è arrivata fino al Monte Kenya. Nel Paese africano, uno dei principali produttori di caffè al mondo, numerosi contadini stanno rinunciando a coltivare i nuovi raccolti perché convinti che le piantine moriranno. "Abbiamo una lunga stagione di siccità", ha dichiarato alla collega della Bbc Martin Kinyua, proseguendo: "Siamo abituati a due stagioni delle piogge, le piogge brevi e le piogge lunghe. In questo momento, non si può dire quando arriveranno le piogge brevi". Le temperature più elevate, ha spiegato il produttore, attirano più parassiti e malattie, aumentando il costo della protezione dei prodotti. La situazione di questa piccola azienda dà l'idea dei rischi che potrebbero travolgere tutta l'industria del caffè.

I tropici a Londra

L'Arabica coltivata da Kinyua rappresenta circa il 70% dei chicchi scambiati al mondo. Negli ultimi due anni la produzione non è riuscita a soddisfare la domanda, anche a causa della sua particolare sensibilità alle temperature e all'umidità. Una delle soluzioni potrebbe provenire da un'altra specie, nota come liberica, sulla quale il dottor Aaron Davis sta realizzando varie sperimentazioni. A Londra, nella Palm House dei Royal Botanic Gardens, si simula il clima tropicale in cui crescono le bacche rosse, note come ciliegie al caffè, caratteristiche di questi alberi. Anch'essa originaria dell'Africa occidentale e centrale, la liberica viene coltivata a livello commerciale soprattutto nelle Filippine e attualmente rappresenta solo il 2% del raccolto mondiale di chicchi di caffè.

Resistente al clima

Il dottor Davis negli ultimi anni è stato chiamato ad accelerare le sue ricerche, dato che i suoi studi suggeriscono che ci sarà un forte calo della resa dell'arabica se le temperature globali aumentano di 2°C. Con un incremento di 2,5°C ci sarà un crollo dell'offerta pari al 75% in meno. In una serra calda e umidificata lo scienziato sperimenta la liberica come alternativa. "Abbiamo bisogno di ulteriori specie di colture di caffè in grado di crescere in condizioni alterate", ha affermato alla tv britannica, precisando: "E quello che stiamo vedendo è che il caffè liberica è più resistente al clima rispetto all'arabica". Se il mercato del caffè non si adattasse a questa specie, ha messo in guardia, ci sarebbe un incredibile aumento dei prezzi, così come una crisi dei coltivatori.

Sapore amaro

Ma perché finora la liberica rappresenta solo una piccola nicchia sul mercato? Diffusa in origine in Liberia, da cui prende il nome, la pianta venne importata in Indonesia per sostituire gli alberi di arabica uccisi dalla malattia della ruggine del caffè alla fine del XIX secolo. I suoi chicchi sono grandi quasi il doppio di quelli di arabica, lunghi circa un centimetro e più uniformi. Risultano però più duri e più difficili sia da raccogliere che da lavorare a causa della buccia e della polpa spesse. I produttori di caffè sono scoraggiati dall'investirci anche a causa di un sapore meno gradevole, essendo più amaro, seppur amatissimo nelle Filippine dove è protagonista indiscussa delle piantagioni. Questa è la ragione per cui i ricercatori concentrano gli esperimenti su una sottospecie di liberica con un chicco più piccolo, noto come excelsa, che si ritiene abbia un profilo aromatico migliorato.

Troppe tazzine

Arrivati a questo punto di non ritorno dei cambiamenti climatici, più che una questione di gusto, la liberica sembra destinata ad imporsi per ragioni di necessità. E i grandi produttori si stanno già adattando. Come segnala la Bbc, le scorte presso l'industria stanno diminuendo, anche a causa di una domanda crescente. Secondo i dirigenti del colosso Volcafe, uno dei più grandi commercianti al mondo, il consumo globale di caffè nell'ultimo decennio è aumentato a un tasso del 2% l'anno. Con queste prospettive, sembra imprescindibile integrare maggiormente la liberica nella propria offerta.

Investimenti difficili e prezzi volatili

A spingere verso questa soluzione c'è anche l'Organizzazione internazionale del caffè. "Ci sono molti giocatori in questo gioco. Gli acquirenti cercano di gestire il mercato perché pensano che sia un bene per loro. Ma non c'è catena se non hai i produttori", ha affermato Vanúsia Nogueira, direttrice esecutiva dell'ente, cresciuta in una piccola piantagione di caffè in Brasile. Il riferimento è alle esigenze dei coltivatori, che vivono in una perenne insicurezza rispetto ai raccolti. Nonostante la crescente richiesta della bevanda, i prezzi per i piccoli contadini restano bassi e volatili. Difficile in questo modo fare investimenti su nuove specie, la cui fecondità non è garantita.

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