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Domenica, 28 Aprile 2024
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"L'Italia e l'Ue hanno fallito nel proteggere il mar Mediterraneo", l'attacco della Corte dei conti

Una relazione dei giudici contabili punta il dito contro le politiche per la pesca e la promozione della biodiversità. Il caso delle Aree marine protette dove le catture sono nel 59% dei casi più alte che nelle acque non tutelate

"L’Ue non è però riuscita ad arrestare la perdita di biodiversità marina nei mari d’Europa". È questa la dura sentenza della Corti dei conti europea, che ha pubblicato una relazione sull'efficacia delle politiche di Bruxelles e di alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, rispetto alla protezione della biodiversità marina. Tra le misure contestate, anche la Politica comune sulle pesca: per la Corte, solo lo 0,2% dei 6 miliardi destinati al settore sono "stati utilizzati per limitare l’impatto della pesca sull’ambiente marino".

Le accuse della Corte

“Data la loro importanza economica, sociale e ambientale, i mari costituiscono un vero tesoro. Tuttavia, l’azione dell’Ue non è finora riuscita né a far tornare i mari europei a un buono stato ecologico, né la pesca a livelli sostenibili”, ha affermato Joao Figueiredo, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “L’audit della Corte segnala chiaramente una situazione allarmante riguardo alla protezione dei mari dell’Ue”, aggiunge.

Sebbene l'Ue "si è impegnata a proteggere l’ambiente marino tramite le proprie politiche in materia di ambiente e pesca", nella pratica, "il quadro normativo" fornisce "una protezione soltanto limitata della biodiversità marina". La normativa europea "include disposizioni sulle specie e sugli habitat minacciati. Dette disposizioni hanno più di 25 anni e non tengono conto delle recenti conoscenze scientifiche".

Il caso della Aree marine protette

Le più di 3mila Aree marine protette (Amp) rappresentano probabilmente la misura più emblematica di conservazione dell’ambiente marino. Tuttavia, sebbene tali aree costituiscano una ampia rete di protezione, la Corte rileva che tale rete non va in profondità. Quanto detto è in linea con una recente valutazione dell’Agenzia europea per l’ambiente, secondo cui meno dell’1 % delle aree marine protette europee potevano essere considerate riserve marine soggette a una protezione totale.

La Corte si sofferma sul ruolo della pesca in queste aree. Nel 2019, uno studio scientifico ha concluso che nel 59 % delle aree marine protette analizzate,
la pesca a traino a fini commerciali era praticata in misura superiore rispetto alle zone non protette e che molte di queste aree non tutelavano le specie vulnerabili. Nello studio si osservava "che gran parte della rete di Amp dell’Ue, di vastissime dimensioni, apporta un falso senso di sicurezza riguardo allo svolgimento di azioni concrete di conservazione". Per essere efficaci, "le aree marine protette dovrebbero coprire in modo sufficiente le specie marine maggiormente minacciate ed i relativi habitat, comprendere restrizioni alla pesca, ove necessario, ed essere ben gestite. Ciò è lungi dall’essere il caso oggi", dichiara la Corte.

L'impatto della pesca

"La pesca ha un impatto considerevole sull’ambiente marino - si legge ancora nella relazione - Sebbene la Politica comune della pesca abbia avviato un miglioramento degli stock ittici nell’Atlantico, nel Mediterraneo non vi è stato alcun segno concreto di progressi. Nel Mediterraneo, la pesca raggiunge livelli doppi rispetto a quelli sostenibili". L’Agenzia europea per l'ambiente ha di recente segnalato che solo il 6 % degli stock esaminati nel Mediterraneo rispettava i criteri del “rendimento massimo sostenibile”.

La Corte analizza poi l'utilizzo dei 6 miliardi di euro destinati alla pesca per il periodo 2014-2020 (il fondo Feamp) e lo fa analizzando le spese di Spagna, Francia e Italia, ossia dei principali Paesi Ue per assegnazione delle risorse comunitarie per il settore ittico (nell'analisi compare anche il Portogallo). La Corte stima che tali Stati avevano utilizzato al momento dell'indagine solo il 6% circa delle risorse a disposizione per interventi direttamente collegati alle misure di conservazione degli stock ittici e un ulteriore 8% per misure aventi un impatto meno diretto sulla loro conservazione. Di questo ammontare, "meno di 2 milioni di euro (lo 0,2% dell'intero Feamp) erano stati utilizzati per limitare l’impatto della pesca sull’ambiente marino". 

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