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Venerdì, 26 Aprile 2024
La ricerca

Per allevare al meglio il salmone va ridotta la quantità di farina e olio di pesce nei mangimi

Uno studio su Nature suggerisce i limiti degli alimenti utilizzati in acquacoltura. Non bisogna esagerare con prodotti derivanti da specie selvatiche come le acciughe

Il salmone atlantico d'allevamento ( Salmo salar) è ormai uno degli alimenti più richiesti a livello mondiale, per la sua facilità nel cucinarlo o nel mangiarlo direttamente affumicato. Attualmente però è allevato usando mangini che sfruttano risorse marine limitate, in particolare olio di pesce e farina di pesce, che sono derivati da speci selvatiche, come ad esempio le acciughe. Per salvaguardare questa produzione in acquacoltura è indispensabile definire con esattezza la percentuale di questi elementi nei mangimi per il salmone.

È quanto emerge da uno studio pubblicato di recente sulla rivista Nature, basato su proiezioni, relativo alla produzione potenziale e alla crescita associata di questa industria. Secondo gli esperti, ridurre l'inclusione di olio e farina di pesce al 3% ciascuno potrebbe consentire una crescita di produzione del 2% all'anno fino all'inizio del prossimo secolo. Il team di ricerca, che fa capo alla School of Life and Environmental Sciences della Deakin University, ha stabilito queste percentuali in base a diverse formulazioni dietetiche nei mangimi.

I limiti indicati risultano validi indipendentemente dalle alternative attualmente utilizzate. I calcoli sono stati effettuati immaginando il consumo di tre porzioni di salmone a settimana (circa 300 grammi), che fornirebbero quasi tutti gli acidi grassi omega-3 raccomandati per l'assunzione umana. Questi ultimi si ritiene proteggano da infarto e ictus e sono inoltre legati a un minor rischio di diabete di tipo 2 e di malattia di Alzheimer. Il salmone d'allevamento viene nutrito di norma con una combinazione di ingredienti di origine marina e terrestre. L' olio e la farina di pesce, inclusi nella dieta, sono prodotti da pesci selvatici come le acciughe. Si tratta quindi di risorse limitate, cui bisogna prestare particolare attenzione onde evitare che si esauriscano.

Secondo David Francis, ricercatore capo e professore associato, il modello che hanno seguito presenta una prospettiva positiva per la produzione ittica sostenibile, ma resta la necessità di perfezionare di continuo gli ingredienti per i mangimi. "Il continuo sviluppo e l'adozione di nuove materie prime ridurrà ulteriormente l'attuale dipendenza dalle risorse marine limitate, in particolare olio di pesce e farina di pesce", ha affermato in un comunicato stampa. "Prevediamo che questo studio farà progredire la conversazione sull'equilibrio tra lo sviluppo del settore dell'acquacoltura e la conservazione della pesca", ha aggiunto.

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