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Venerdì, 26 Aprile 2024
Innovazione

“Grazie agli scarti degli agrumi recuperiamo metalli preziosi senza inquinare”

Intervista a Raffaele Nacchiero, co-fondatore di AraBat, una startup pugliese che ricicla batterie con un metodo fondato sull'economia circolare

In Puglia grazie alla startup AraBat potrebbe nascere a breve il primo impianto di riciclo di batterie che sfrutta gli scarti degli agrumi. Ne abbiamo parlato con Raffaele Nacchiero, l’ingegnere gestionale che a soli 24 anni ha dato vita con altri sei giovani amici a questa idea. Votato alla sostenibilità, il progetto offre anche ampi margini di redditività, grazie all'estrazione di metalli preziosi che altrimenti diventerebbero rifiuti pericolosi. Con i suoi 2,6 milioni di quintali di agrumi prodotti, il Tacco d’Italia si presenta come una regione ideale per far fiorire quest'impresa.

Da dove nasce l'idea di sfruttare gli scarti degli agrumi per il riciclo delle batterie ?

Siamo un gruppo di sei amici legati ad esperienze di associazionismo e da anni impegnati in progetti di carattere ambientale e culturale. Confrontandoci ci siamo detti: 'Perché non realizzare un progetto imprenditoriale che metta a fuoco i nostri valori?'. La svolta è arrivata nel 2020 quando su una rivista avevamo letto di uno studio di Singapore che validava l'idea di sfruttare gli scarti della frutta per riciclare le batterie. Da lì parte dapprima uno studio in collaborazione con l'Università di Foggia e poi un vero piano di business verde legato al riutilizzo dei minerali.

Avete poi ottenuto il supporto di partner scientifici ed istituzionali, come la Regione Puglia. Come ci siete riusciti?

All'epoca eravamo sei studenti universitari magistrali, ma anche partendo dalla nostra immaturità, o forse proprio grazie ad essa, siamo riusciti a travolgere, concedimi quest'espressione, i nostri partner. Avevamo una buona idea, fame ed entusiasmo e questi elementi sono riusciti a scavalcare anche i dubbi iniziali legati alla nostra giovane età. Abbiamo coinvolto innanzitutto l'Università di Foggia, che ci ha fornito il supporto scientifico di cui avevamo bisogno. Grazie al loro contributo abbiamo validato la nostra scoperta di un processo di riciclo delle batterie che risulta più economico e sostenibile di quelli già esistenti.

In cosa differisce il vostro progetto?

I processi con cui si possono recuperare i residui dei minerali sono due: uno pirometallurgico (che sfrutta temperature elevate, ndr), l'altro idrometallurgico (che utilizza una soluzione a base di acqua, ndr). Noi rientriamo nella seconda tipologia, ma a differenza dei metodi già in atto, non facciamo ricorso ad agenti chimici impattanti. All'inverso, siamo doppiamente circolari, perché ricicliamo batterie riutilizzando al tempo stesso gli scarti di un'altra produzione, quella degli agrumi.

Quale processo utilizzate e quali sono i minerali che potreste recuperare?

Al momento ci concentriamo su materie prime che in gergo vengono chiamate 'critiche' come carbonato di litio, nichel, manganese e cobalto, ma in futuro potremmo reimpiegare anche rame, alluminio e grafite. Quanto al processo posso dirti, per semplificare, che inseriamo in dell'acqua una base di acido citrico, gli scarti degli agrumi polverizzati e la polvere delle batterie già triturate. Grazie ad una reazione chimica, denominata 'lisciviazione verde', la polvere si stacca dai metalli e tramite un trattamento di 'precipitazione' si induriscono fino ad assumere una forma solida.

Chi potrebbe essere interessato al vostro prodotto?

Potremmo rivenderlo a numerosi settori, non solo all'industria delle batterie, ma anche all'ambito dell'edilizia, delle ceramiche o ai cantieri navali. Un giorno noi stessi potremmo creare coi minerali recuperati la prima batteria verde, ma per questo occorrerà del tempo.

Nonostante le esperienze all'estero di vari membri del team avete deciso di restare in Italia. Cosa vi ha spinti a rimanere e quali difficoltà state incontrando?

Alla base di AraBat c'è l'idea della riconversione sostenibile dei nostri territori. Vogliamo partorire una rivoluzione che parta dalle nostre case e si espanda nel mondo. Per farlo abbiamo pensato di partire dal potere organico dei suoli, così ricchi nella nostra regione, per migliorare e supportare il futuro delle componenti elettriche.Va detto che in Italia questo mercato è molto povero e finora poco sviluppato. A livello sia locale che nazionale ci siamo rivolti a diversi investitori potenzialmente interessati al nostro progetto, ma ci hanno chiuso le porte in faccia. Ciò nonostante non ci siamo demoralizzati, perché adesso stiamo definendo degli accordi con un partner canadese specializzato sia nell'estrazione dei minerali che nel loro riciclo, con anni di esperienza alle spalle. Grazie al loro finanziamento potremo creare un impianto pilota in Puglia del valore di diversi milioni di euro.

Avete già individuato una zona dove potreste installarlo?

La provincia di Taranto sarebbe l'ideale, perché lì si concentra la più grande produzione a livello regionale di pastazzo, lo scarto della lavorazione industriale degli agrumi, derivante ad esempio dai succhi di frutta. Se pensiamo che in quell'area grava ancora l'eredità dell'Ilva, potremmo essere i primi a prendere il posto di una realtà tanto inquinante inserendovi invece un'industria sostenibile.

Arabat ha vinto il premio come miglior innovazione ecosostenibile dell'anno della Regione Puglia e risulta tra i 100  finalisti del premio DigithOn, dedicato alle startup votate all'innovazione digitale.  

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