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Venerdì, 26 Aprile 2024
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“Coltiviamo il riso tra le cicogne”. La storia di tre sorelle calabresi, caparbie e attente all'ambiente

L'azienda agricola Magisa ha recuperato antiche colture nella Piana di Sibari. Ecco la loro ricetta, che coniuga qualità e sostenibilià: irrigazione continua, ricerca genetica e tutela della biodiversità

Nella piana di Sibari, tra cicogne e fenicotteri rosa, un'azienda agricola ha deciso di recuperare l'antica coltura del riso, e di farlo nel massimo rispetto dell'ambiente, sfruttando sia tecniche innovative che metodi tradizionali. A tenere le redini del progetto c'è un trio di sorelle caparbie e preparate: Maria, Giusi e Sara Praino. Dalle loro iniziali deriva il nome dell'impresa che guidano: la Magisa. “Tutta la politica aziendale è votata alla tutela della biodiversità e del territorio”, dichiara Sara, amministratrice delegata dell'azienda, che specifica: “La scelta è quella di non utilizzare anticrittogamici (fungicidi), né di fare ricorso alle falde acquifere”.

L'acqua del torrente Raganello provvede a irrigare le terrazze, dove sono collocate le vasche per la semina del riso, caratterizzate da pendenze e che arrivano fino al mare. “Usiamo solo acqua a scorrimento continuo, per evitare malattie delle piante. A monte, pratichiamo il sovescio che garantisce una concimazione naturale dei terreni, evitando diserbanti”, evidenzia Sara, che è diventata anche responsabile dello sviluppo dei progetti. In corso, c'è quello di ottenere entro due anni la certificazione biologica. La sorella Giusi si occupa invece dell'area commerciale, mentre Maria è impegnata nella parte agricola.

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In nome della tutela della biodiversità, la Magisa si è impegnata, tramite una convenzione con la Lega italiana protezione uccelli (Lipu), nella salvaguardia delle cicogne bianche. Questi volatili, insieme con i fenicotteri rosa, hanno trovato nell'area delle risaie un ambiente naturale ottimale per la nidificazione. Proprio alle cicogne è dedicato il riso nero Jemma, brevettato nel 2019 dall'azienda agricola calabra. Il suo primo raccolto è coinciso infatti con la nascita della prima cicogna nella zona. Questo riso, di cui Magisa vanta un'esclusiva sulla produzione, è il frutto di dieci anni di studio da parte di Giancarlo (padre delle tre sorelle) in collaborazione con l'esperto di genetica agraria Giandomenico Polenchi. Si tratta di un riso lungo “a pericarpo nero”, di forma semi affusolata e di spessore medio, che durante la coltivazione emana un aroma particolare, simile a quello dei popcorn.

Dalla palude alla risaia

Proprio per questo impegno costante in materia ambientale, la Magisa ha vinto nel 2021 il premio bandiera verde, promosso dalla Confederazione italiana agricoltori (Cia). Lo Jemma non è l'unica eccellenza. “Puntiamo ad un bouquet varietale autoctono. La nostra sfida è quella di recuperare una cultura antica, applicandovi delle tecniche innovative”. Grazie alla caparbietà di questa famiglia, oggi gli ettari destinati alla risaia sono circa 700, cui si abbina un opificio destinato alla lavorazione del prodotto finale. L'idea delle sorelle Praino si radica in una zona, quella della Piana di Sibari, dove sin dall'antichità, probabilmente grazie agli arabi, ci furono i primi tentativi di innestare questa coltura. L’utilizzo ottimale si ebbe solo dopo la seconda guerra mondiale, quando la bonifica di una palude, ricca di salinità, rese quei terreni adatti alla coltivazione di vari cereali, tra cui appunto il riso. Per decenni, però, ci si è limitati a quantità di sussistenza, a differenza di quanto avveniva nel frattempo nella bassa padana, da anni dedita ad una coltivazione di tipo industriale.

Ed era proprio agli impianti del Nord Italia che in origine era destinata la produzione della famiglia Praino. Poi la svolta: “Dopo tre anni che avevamo intrapreso nel mondo del riso, abbiamo deciso di chiudere il ciclo, producendo il nostro”, spiega Sara, precisando: “L'obiettivo è quello di creare un riso di qualità, che punta a una determinata nicchia. Quest'anno siamo stati quotati in borsa Nielsen, arrivando terzi, dopo giganti come Scotti e Gallo”. In una terra tradizionalmente vocata agli agrumi, l'idea di dedicarsi ad una coltura lontana (in apparenza) dalla tradizione calabra ha determinato non poche difficoltà. “Abbiamo riscontrato tanto scetticismo all'inizio” ammette Sara, “ma siamo andati avanti con l'idea di abbinare all'azienda agricola una risaia, che è l'unica ad oggi del centro Sud. Siamo i soli, da Ferrara a Lampedusa”.

Nella zona, per la coltivazione del riso permane una potenzialità di circa 400 ettari. L'idea sarebbe quella di coinvolgere altri produttori, ma finora non ha riscontrato successo, nonostante una richiesta di manifestazione d'interessa indetta a livello regionale per le bonifiche dei terreni demaniali. Mancando anche misure locali ad hoc per il riso, alcuni processi sono stati rallentati, così come l'accesso ai fondi. Alle difficoltà legate ad un territorio restio, si sono aggiunte quelle determinate dal genere, che non favorisce l'imprenditoria femminile. “Proviamo a fare coalizione, ma non rientra molto nella mentalità locale, e nel quotidiano scontiamo un po' di diffidenza, ma la nostra idea è di distinguerci dalla massa e questo ci sta procurando tante soddisfazioni”. Nonostante una strada tortuosa, Sara e le sue sorelle si avvalgono dell'esperienza di tre generazioni di agricoltori e sono determinate a proseguire in un territorio sì complesso, ma ricco di opportunità e risorse.

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