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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Perché prendersela con le persone obese non aiuta il clima

Consumi eccessivi di cibo contribuiscono a creare danni all'ambiente, ma i ricercatori avvertono: non può essere un'altra scusa per stigmatizzare le persone sovrappeso

Oltre a essere potenzialmente oggetto di body shaming adesso si aggiunge anche lo stigma di essere "nemici" dell'ambiente. È questo il destino che tocca alle persone sovrappeso. Letteratura e studi scientifici collegano sempre più l'obesità ai danni ambientali, perché i maggiori consumi di carne e cibo contribuirebbero a maggiori emissioni, ma questo sarebbe diventato un altro modo in cui le persone vengono stigmatizzate a causa del loro corpo e della relazione col cibo. La questione è stata sollevata sul quotidiano britannico The Guardian, dalle cui pagine i ricercatori Austin Bryniarski e Samara Brock hanno lanciato un allarme: si è arrivati al punto in cui le persone sovrappeso sono definite come "rifiuti alimentari metabolici" e vengono additate come responsabili delle catastrofi che affliggono il pianeta. E hanno messo in guardia: questo trattamento, centrato sulla vergogna e sulle sole responsabilità individuali non aiuta le persone a migliorare le proprie abitudini alimentari né ad incentivare la lotta ai cambiamenti climatici.

La logica dietro l'accusa è la seguente: essendo il peso connesso direttamente a quanto le persone mangiano, farlo in eccesso ha un impatto ambientale misurabile. Chi è in sovrappeso rappresenta quindi un onere maggiore per l'ambiente. Un contributo a questa visione proviene proprio dall'Italia, tramite uno studio pubblicato a maggio sulla rivista Scientific Reports, connessa al gruppo Nature. Senza troppi giri di parole, un gruppo di ricerca dell'Università della Tuscia ha intitolato l'articolo: La sovranutrizione è una componente significativa dello spreco alimentare e ha un grande impatto ambientale.

Gli studiosi del Dipartimento di Economia hanno calcolato l’impatto delle calorie in eccesso consumate dalle persone obese e in sovrappeso in Italia. La cifra: 1.553 milioni di tonnellate di cibo all’anno, pari a 6,15 milioni tonnellate di anidride carbonica. In base a questi calcoli una persona obesa genera il 24% di emissioni in più rispetto a un individuo di peso normale. Per chi invece è considerato in sovrappeso si ha il 12% di emissioni in eccesso. Nell'articolo si richiede quindi una maggiore attenzione sulla prevenzione dell'obesità per ridurre i gas serra.

Questo approccio “individualistico” e centrato sulle calorie viene però contestato da Bryniarski, ricercatore e scrittore di sistemi alimentari, e da Brock, che per oltre 15 anni ha lavorato per elaborare sistemi alimentari sostenibili collaborando con Ong, fondazioni ed il governo britannico. Insieme i due hanno ricostruito il rapporto tra obesità e crisi ambientale, partendo dal libro Weighing In della professoressa di geografia Julie Guthman.

Quest'ultima evidenzia che alcuni ambientalisti hanno condensato l'attenzione sulle scelte e le azioni individuali, anche in merito al consumo di cibo, anziché mirare a lotte collettive. In questa visione, la riduzione al contempo del girovita e dell'impronta ambientale camminano in parallelo, gravando esclusivamente su comportamenti personali. Sono ignorate invece le battaglie per le politiche sociali e ambientali, che invece influiscono sia sulle diete che sugli habitat delle persone.

Nell'articolo del Guardian viene perciò evocato un punto di vista agli antipodi, quello di Virgie Tovar, attivista specializzata in discriminazioni basate sul peso. L'autrice afferma che “quando si tratta di persone di peso più elevato, c'è già questo fanatismo in atto che dice che la grassezza riguarda il consumo eccessivo, che deriverebbe in gran parte da una relazione immorale col cibo”. Secondo la Tovar ed altri esperti bisogna risalire alla percezione dell'essere grassi. Questa deriva dal sistema di misurazione dell'indice di massa corporea (Bmi).

Le categorie come "sovrappeso" e "obeso" sono calcolate su un sistema metrico ideato nel XIX secolo e basato sui corpi degli uomini bianchi. Non terrebbe quindi conto delle differenze derivanti dal metabolismo, dalla razza o dal genere. Conseguenza: ha creato delle definizioni usate come “armi” per emarginare quelle persone che hanno corpi “non conformi” al modello proposto, come ad esempio le donne nere. Il sistema viene contestato anche perché crea una connessione diretta tra l'indice di massa corporea e la quantità di cibo ingerita.

La dimensione corporea in realtà non dipende solo dalle calorie. "Dati dimostrano che a livello di popolazione non è che le persone con corpi più grandi mangiano migliaia di calorie in più ogni giorno", ha affermato la dottoressa Jennifer Brady, direttrice del dipartimento di nutrizione e dietetica dell'Università di Acadia. Sul peso incide ad esempio il sistema endocrino, alterato da sostanze chimiche. Queste sono presenti in numerosi elementi: dai suoli (tramite pesticidi e fitofarmaci) agli imballaggi alimentari; dalla plastica ai prodotti per la cura personale.

In un report delle Nazioni Unite, gli esperti hanno notato come l'obesità dipenda in larga parte dal consumo di alimenti eccessivamente energetici. Oltre alle martellanti pubblicità, una delle principali ragioni per sceglierli deriva dal prezzo. Sono decisamente più economici e vengono preferiti ad alimenti nutrienti, che non tutti possono permettersi a causa di salari sempre più esigui, lavori precari e scarsa educazione alimentare. C'è poi una serie di aspetti psicologici che può determinare un rapporto negativo col cibo, come traumi personali o mancanza di autostima.

“Le persone sono ritenute individualmente responsabili del 'riparare' i loro corpi e l'attenzione diventa l'individuo e non le strutture sociali: cose sostanziali come le tossine ambientali e i sistemi idrici vengono espulse dal quadro", ha affermato a questo proposito la dottoressa Emily Yates-Doerr, antropologa che ha studiato gli impatti di tipo razziale degli interventi sull'obesità. Creare un collegamento tra danni ambientali ed obesità, senza guardare ai fattori più ampi che la determinano, non ci aiuta quindi nella lotta ai cambiamenti climatici. Diventa solo un altro modo per discriminare. Anziché trattarle come “persone magre fallite", bisogna coinvolgerle e trovare reciproca ispirazione per un'azione collettiva e strutturale.

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